Commercio internazionale, salta il negoziato

Fumata nera ieri a Ginevra alla riunione del gruppo dei Sei. Incertezze sul futuro

Paolo Stefanato

da Milano

Non c’è stato accordo tra il Paesi del gruppo ristretto del Wto, e il Doha round è stato rinviato «sine die». Il Wto è l’organizzazione mondiale del commercio, il Doha round (che prende il nome dalla capitale del Qatar) è la sessione avviata nel 2001, che ha una serie di obiettivi - soprattutto nel campo agricolo - che si possono sintetizzare con un concetto molto semplice: rendere le regole del commercio internazionale più eque e più favorevoli ai Paesi poveri. Il Wto è composto da 149 Paesi, e i temi più spinosi della trattativa - le sovvenzioni agricole e il commercio di prodotti industriali - erano transitati, via via, con successive deleghe, dal gruppo dei 20, a quello degli 8, a quello, definitivo, dei sei che si sono riuniti ieri a Ginevra: Stati Uniti, Unione europea, Brasile, India, Giappone e Australia. Le divergenze sono apparse subito in tutta la loro evidenza, e i rappresentanti del gruppo convocato dal direttore generale del Wto, Pascal Lamy, hanno dovuto prenderne atto.
I Paesi emergenti chiedono a Usa, Ue e Giappone di rimuovere o ridurre significativamente le sovvenzioni alle rispettive politiche agricole, per aprire completamente il settore agli scambi globali. Washington e Bruxelles, come contropartita, pretendono che i Paesi emergenti aprano a loro volta i loro mercati interni a beni e servizi prodotti in Occidente. Dopo la rottura - che, come ha detto il ministro Emma Bonino, «rischia di mettere in ginocchio il Wto e le regole stesse che governano il commercio internazionale» - si è passati, come in occasione degli altri insuccessi del Doha round, al capitolo delle accuse reciproche: gli Stati emergenti danno la colpa a quelli occidentali. Gli Usa replicano dando la colpa a loro e all'Ue. L'Unione europea, per bocca dell'eurocommissario al commercio Peter Mandelson, scarica a sua volta la responsabilità sugli Stati Uniti.
Il Doha round aveva nella sua agenda una lunga serie di obiettivi; oltre a quelli agricoli e industriali, lo snellimento delle procedure burocratiche riguardanti il commercio, la tracciabilità dei prodotti e l’adozione di norme più ampie e condivise per la difesa della proprietà intellettuale. Tre, comunque, i nodi irrisolti. Il primo riguarda i diritti di dogana sui prodotti agricoli. L’Ue è la più colpita a causa degli elevati diritti che essa impone all’importazione di prodotti quali lo zucchero e il manzo. Il secondo si riferisce alle sovvenzioni agricole: i Paesi in via di sviluppo accusano gli Stati Uniti di elargire ai propri agricoltori sovvenzioni che ledono i loro produttori, soprattutto quelli di cotone. Quanto alle sovvenzioni agricole all’export, la loro sorte è stata segnata lo scorso dicembre a Hong Kong: dovranno sparire nel 2013.
Infine, il capitolo prodotti industriali.

In cambio di concessioni sul dossier agricoltura, i Paesi ricchi chiedono a quelli in via di sviluppo di ridurre i loro diritti di dogana sulle importazioni dei loro prodotti industriali, fino a un massimo del 15%. L'India non vuole scendere sotto la soglia del 30% ma il Brasile ha lasciato intendere che potrebbe accettare un tetto superiore di poco al 20%.

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