Il commissario che morì «arrestando» un anatroccolo

Giovanni Crovetto, detto San Martin, raccontato dalla penna della sua discendente Auri Campolonghi Gonella

Il commissario che morì «arrestando» un anatroccolo

Alessandro Massobrio

Doveva essere una via di mezzo tra il Vidoc di Balzac e il commissario Javier di Victor Hugo questo San Martin, che, all’inizio del secolo scorso, svolgeva il ruolo di castigamatti nei quartieri «a rischio» di Genova. Non soltanto un maresciallo di pubblica sicurezza dalla forza erculea, capace di acciuffare ed ammanettare il peggiore delinquente, ma anche investigatore dal naso fino, specializzato nel risalire al colpevole con tecnica induttiva infallibile.
Certe volte - come racconta nella presentazione del volume Nicola Ghiglione - San Martin spariva per qualche tempo. Chi lo conosceva sapeva però che il maresciallo era partito in azione, per così dire, preventiva. Era andato cioè ad intercettare certi criminali, che migravano a Genova attraverso i sentieri dell’Appennino. Grazia a qualche soffiata, San Martin era là, nel posto giusto al momento giusto, e per gli ospiti indesiderati c’era poco da fare.
Non che il lavoro fosse privo di rischi. Ancora Nicola Ghiglione ci informa che ben 24 ferite ed una profonda cicatrice che gli attraversava la fronte costituivano le medaglie al valore, conquistate sul campo da Giovanni Crovetto, in arte San Martin, per via del quartiere d’Albaro dove era nato ma dove non sarebbe morto.
La morte, infatti, lo avrebbe colto (ormai in pensione, all’età di 69 anni) nell’atto di riacciuffare non un criminale ma un anatroccolo, sfuggito dal pollaio. Correndo a perdifiato dietro la bestiola, Giovanni Crovetto fu così stroncato da un infarto. Fine tragicomica, che in qualche modo ci richiama alla memoria quanto il Pulci ci racconta a proposito dei suoi due invincibili giganti, Morgante e Margutte. L’uno spacciato dal morso d’un granchio e l’altro dal ridere di fronte a una morte così poco «gigantesca».
Fatto sta che il commissario San Martin rivive nelle commosse ed ispirate pagine di una sua discendente, quell’Auri Campolonghi Gonella, scultrice e pittrice di livello internazionale, ma anche narratrice di non indifferente spessore. La storia dell’avo ci viene presentata attraverso una serie di flash - back indimenticabili. Soprattutto quello iniziale in cui l’infanzia di Giovanni Crovetto - un’infanzia, al tempo stesso, triste e serena, scissa tra la opprimente presenza della matrigna ed i sogni infantili del futuro uomo d’ordine della Genova giolittiana - rivive dinanzi ai nostri occhi con incredibile forza evocativa.
Anche se non conoscessimo il curriculum artistico della narratrice, ci sarebbe impossibile non cogliere nelle descrizioni, nei paesaggi, nei dialoghi la sapienza visiva e coloristica di chi ha fatto delle immagini e delle tinte la propria ragion d’essere. La postura dei corpi, il loro movimento, il paesaggio che si illumina del sole mattutino, certi rumori d’interno, come una sedia di legno trascinata sulle mattonelle della cucina, sono tutti gioielli di osservazione e di intuizione artistica, che la scrittura della Campolonghi ci restituisce con la stessa vivezza di una sua tela.


Ne viene fuori il quadro della Genova di una volta, nostalgico ed evocativo al tempo stesso, nel quale chi legge è invitato ad entrare ed interagire come nel magico specchio dell’Alice delle meraviglie.
Auri Campolonghi Gonella, Lo chiamavano San Martin, Edizioni Sibilla, Genova 2001, euro 7,00.

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