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Il commissario della Figc fa il bilancio dei primi due mesi del suo lavoro davanti alla commissione Cultura della Camera. Dure critiche a tutto il sistema Rossi: «Nessuna amnistia per questo calcio» E anticipa la sentenza: «L’illecito ha raggiunto li

Marcello Di Dio

da Roma

Una relazione di tredici pagine per ribadire l’autonomia dell’ordinamento sportivo e per raccontare i primi due mesi da commissario straordinario della Federcalcio (carica che durerà almeno fino a novembre). Passando per l’evidenza della crisi delle istituzioni del pallone, il conflitto di interessi e i limiti del sistema elettivo del nostro calcio. Tutto ciò prima di tuonare con un fermo no all’amnistia verso i colpevoli dello scandalo. È durata quasi tre ore l’audizione di Guido Rossi alla commissione cultura della Camera presieduta dal deputato di Rifondazione Pietro Folena.
Un j’accuse sul calcio italiano, quello di Rossi, nel quale, incalzato dalle domande dei parlamentari, sceglie di ripercorrere il calciogate ringraziando il lavoro delle procure e l’assistenza dell’Antitrust («che mi ha messo a disposizione cinque persone») e smontando pezzo per pezzo il mondo del football prima dello scandalo. «Non sono né per un esasperato rigore, né per la clemenza, sono per una giustizia equa su uno sport malato. E comunque non sono io che decido chi va in A, B o C, ora devo studiare le nuove regole ricostruendo gli organi di giustizia sportiva e rafforzandoli in termini di risorse e supporto», dice il commissario della Figc, ma poco ci manca che con il suo excursus vengano partorite delle sentenze.
La crisi delle istituzioni sportive, spiega Rossi, ha portato «l’illecito sportivo a livelli finora impensabili». «Una serie straordinariamente grave di illeciti, diffusi e ramificati», li chiama Rossi, che hanno travolto «le principali istituzioni del calcio italiano, i loro vertici e gli organi di controllo e di giustizia», ma anche «importanti club, dirigenti e arbitri». Non usa mezzi termini, parlando di «asservimento ad interessi di parte dei vertici e degli organismi di controllo della Figc e della Associazione italiana arbitri». E poi punta il dito su quella che ritiene l’origine dei mali del sistema: il fatto che «i controllori sono nominati dai controllati», tanto da far manifestare gli «aspetti più deteriori e evidenti dei conflitti d’interesse». Il commissario non risparmia il sistema dei diritti tv, confessando di essere «favorevole, come ha detto l’Antitrust, alla vendita collettiva». Pure accantonata dalla legge D’Alema nel ’99. In passato, continua l’analisi di Rossi, «le squadre più deboli sotto il profilo negoziale nella cessione dei propri diritti televisivi si dovevano alleare passivamente alle squadre più forti». Risultato, spiega il commissario, «il voto di scambio» e un «sistema simulatamente democratico, di fatto dominato da pochi soggetti». Un quadro lucido, la sua idea è che tutto si stia svolgendo «nel totale esemplare rispetto delle regole». Affermazione che lascerebbe già intravedere come finirà il processo sportivo.
E dopo le sentenze nessuno spazio ad amnistie o indulti. «Il nostro calcio deve ripartire dalla vittoria al Mondiale perché è la dimostrazione di un calcio sano, ma sono contrario a ipotesi di questo tipo. Le due cose non c’entrano niente. Amnistia e indulto si applicano per reati penali, non per questi che sono illeciti sportivi». A Rossi non interessa nemmeno se ci saranno code giudiziarie al processo in corso: «La sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva. Con l’Uefa siamo d’accordo così, anche se spero che la sentenza di secondo grado arrivi in tempo utile. Ricorsi al tribunale civile? Che lo facciano, se non vogliono più partecipare al calcio... Io non ho paura né di quello che faccio, né di quello che fanno gli altri».
Un messaggio chiaro, in tutta l’audizione Rossi ha sempre ribadito il grosso legame con le istituzioni sportive (Fifa e Uefa) che lo stanno aiutando in questa fase così critica. E il commissario difende anche le scelte fatte, prima fra tutte quella di Borrelli, criticata da chi la mette in relazione ai dissapori con Silvio Berlusconi e al coinvolgimento del Milan. «Non ritengo proprio che sia un errore. Era un lavoro di indagini che ha fatto scrupolosamente e i precedenti dicono che le indagini le sapeva fare. No? - risponde a chi in aula mugugna -. Tutti siamo politicizzati, anche io. L’importante è essere indipendenti». E parla anche dell’amicizia con Massimo Moratti: «Adesso non mi chiama nemmeno più, non vuole interferire. Mi pare uno scrupolo eccessivo...», sorride il commissario. Che boccia l’ingresso in Borsa delle nostre squadre («un errore») e parla del salary cup come di un problema «da risolvere in sede Uefa». E promette maggiori controlli sui meccanismi di spesa della struttura centrale. «Nella difficile opera di risanamento del mondo del calcio, io andrò fino in fondo», è la chiosa di Rossi.

Intanto aspettiamo le sentenze.

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