Cronaca locale

La community dei collezionisti

I collezionisti salveranno l’arte? Possibile, anzi probabile. Dopo aver dettato il gusto, formato gruppi di pressione, condizionato nel bene e nel male la politica espositiva dei musei, costituito fondazioni, oggi si espongono presentando al pubblico il frutto della loro ricerca e della propria passione. Sono i figli prediletti, talmente esclusivo e sincero l’affetto che li circonda che, paradosso, non c’è niente da vendere e niente da comprare.
L’idea è venuta a due simpatici «dilettanti»: Claudio Borghi, economista ed editorialista del Giornale, e Luca Dezzani, avvocato, contagiati dall’entusiasmo di Roberto Brunelli, un loro amico infermiere collezionista di Forlì che investe i suoi risparmi in quadri e propaganda l’arte nei forum di internet. Dopo aver aperto diversi fronti di discussione virtuale sul web a proposito dei rapporti tra arte e finanza, hanno inventato un nuovo portale. www.shtart.it. dove esporre le loro opere, invitando altri collezionisti a collegarsi con loro per dar vita a un forum di discussione. Ne è nata una comunità costantemente attiva nello scambiarsi idee e informazioni, una sorta di collezionismo 2.0 che non considera l’opera come qualcosa da tenere nascosta a casa ma, piuttosto, uno stimolo per confrontare gusti, tendenze e investimenti.
Il passo successivo non poteva che essere una mostra. E’ venuto quindi il desiderio di mettersi in discussione, mostrandosi al pubblico. ShTArt (ovvero Share The Art) è diventata così una esposizione a tutti gli effetti, inaugurata nei giorni scorsi a Milano, in via Santa Marta fronte 13, visitabile dalle 15 alle 18 e aperta fino al 15 aprile. Divisa in quattro sezioni, l’esposizione parte dall’astrattismo, plana sugli anni Novanta, per raggiungere gli emergenti di quest’ultimo decennio. Le presenze sono in maggioranza italiane, ma con qualche chicca internazionale di ottimo livello.
Cosa consigliare, dunque, ai visitatori milanesi, pur sapendo che non si vende niente? Se si ama la pittura astratto-concreta di matrice lombarda, si noteranno i dipinti di Rho e Radice che non sfigurerebbero al Museo del Novecento; c’è una Spirale bianca di Crippa, un Deluigi di grande formato, Castellani e la Accardi. Tra gli internazionali, segnaliamo un monocromo di Opalka, un Subway Drawing di Anastasi, una scultura cinetica di Garcia Rossi, e soprattutto il lavoro che sta sulla copertina del catalogo, autore Norbert Bisky. Ancora molta Italia nell’Intervista di Cingolani (attualmente in mostra a Como), di Galliano, Kaufmann, Dellavedova, Pessoli, Beecroft e dei nuovi Arruzzo, Mastrovito, Reimondo.
Il tutto ordinato senza bisogno di curatori o direttori, senza la logica dell’esclusione né dell’inclusione, oltre, ovviamente, al gusto personale. Ma come ha reagito il mondo dell’arte, così protezionistico e sindacalizzato nelle rispettive categorie, a un’iniziativa che pare bislacca eppure apre un fronte interessante? I galleristi sembravano sorpresi che si sia potuto fare un lavoro senza fini di lucro, senza pubblicità, completamente autofinanziato. Gli artisti (folta presenza alle due giornate di inaugurazione) incuriositi dall’opportunità di esporsi senza passare dalle logiche, spesso incomprensibili, dei mercanti che li incensano quando tutto va bene ma appena c’è un po’ di crisi mollano il colpo. Il pubblico, in generale disorientato ma molto divertito, ha affollato l’inaugurazione e dimostrato di apprezzare la novità: la consapevolezza che nulla di quanto esposto fosse in vendita ha forse consentito di vincere la timidezza che a volte si ha di fronte al quadro e al gallerista, dando il via a un libero confronto tra domande e discussioni, cui gli artisti presenti, gli organizzatori e i collezionisti (provenienti da tutta Italia), che hanno prestato le proprie opere per la mostra, hanno partecipato volentieri.

Dopo le attività no profit, gli spazi off, le cantine indie, ecco uscire allo scoperto le stanze dei collezionisti.

Commenti