da Milano
Steve Jobs ha unidea fissa: «Bisogna rendere libera la musica on line». Il genio della Apple pensa che senza divieti, senza imposizioni, senza oboli, la musica digitale sarà ascoltata da tutti e quindi porterà sempre più soldi alle case discografiche. E però, le major non sono daccordo. Vogliono continuare a fare in modo che la gente paghi almeno un po. Questo per bilanciare le perdite che arrivano dai compact disc.
Time Warner, quarta industria discografica mondiale, giovedì scorso ha diffuso i dati del quarto trimestre 2006, una sorta di Caporetto per profitti e vendite di cd, cadute ai minimi da sei mesi: gli utili netti sono precipitati del 74% a 18 milioni di dollari dai 69 di un anno prima e le vendite hanno subito una flessione dell'11% a 928 milioni. Invece la musica via internet cresce: più 45% rispetto al quarto trimestre 2005. Eppure la società resta sulle sue posizioni: la proposta di Jobs «è sbagliata: rivendichiamo l'uso dei diritti per la protezione della proprietà intellettuale nostra e dei nostri artisti. L'idea che la musica non abbia diritto a essere protetta come lo sono software, televisione, film e videogiochi soltanto perché esistono prodotti non protetti nel mondo fisico è totalmente illogica e priva di merito».
Si discute, insomma. Segno che il futuro è già arrivato: si chiama download ed è la possibilità di scaricare musica dal web. La dimostrazione è il boom degli apparecchi mp3 e delliPod, diventato lo status symbol di giovani e meno giovani. Cè che la musica on-line garantisce la libertà di scegliere. Sia quando si paga, sia quando non si paga si può decidere di prendere una sola canzone, oppure due, oppure quante se ne desiderano, ma non necessariamente tutte quelle di un album. Altro elemento a favore della musica on-line è la facilità duso: in pochi centimetri quadrati di lettore mp3, si possono avere anche cinquemila canzoni.
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