COMPAGNI DI GIOCHI

La sinistra radicale, o antagonista,
o alternativa – fate voi – alza la voce, grida, minaccia e pianifica la sua offensiva contro le olimpiadi invernali. Si usa la rete, si chiamano alle bandiere no-global e sfascisti stranieri, si programmano apertamente atti illegali. Nelle prossime ore sapremo fino a che punto si spingeranno e quanto riusciranno a colpire la festa sportiva quei giovani guastatori che si riempiono sempre la bocca di pace e solidarietà. Intanto, sono riusciti ad azzerare la già scarsa credibilità delle opposizioni che su questo tema, come su altri, mostrano una sovrana disunione.
Battibeccano come comari, i Ds contro Rifondazione, Rutelli preoccupato manovra cercando di difendere la sua aureola di quasi-moderato, la Rosa nel pugno contro quasi tutti. Un gregge frammentato e rissoso, ancora una volta, con un pastore virtuale, Romano Prodi, che abdica al suo ruolo e non parla per timore di essere zittito. In effetti, quando vuole Fausto Bertinotti ha i modi rudi di un sub-comandante latino-americano, come ha imparato a suo spese il compagno Chiamparino. Il leader di Rifondazione non è stato diplomatico nemmeno col presidente Ciampi; si è detto d’accordo sull’invito a non rovinare i Giochi, ma ha subito aggiunto: purché sia salvo il diritto di critica. Che è come rispondere picche. In verità, il preoccupato messaggio del capo dello Stato non ha suscitato sul versante della sinistra alcuna seria riflessione, soltanto un discorde gracidare, preoccupandosi ciascun partito di salvare le proprie aspettative elettorali, senza peraltro irritare troppo i compagni di strada e gli alleati impresentabili. Come prova tecnica di governo virtuale fa proprio venire i brividi. E se domani...?
Gli unici a esultare, fra tanti balbettamenti, sono Francesco Caruso e gli altri masanielli deputati in pectore, che intanto marciano verso il cuore delle istituzioni. Se questi ragazzi sono capaci di un minimo di riconoscenza, non debbono ringraziare soltanto Fausto Bertinotti, ma tutte le opposizioni, tutte le sinistre e l’intero centrosinistra. È stato questo schieramento, infatti, a coccolarli, difenderli, giustificarli, far loro credito da Genova in poi, passando per Napoli. La distinzione che Fassino avanza fra candidati presentabili e impresentabili è tardiva. Di fatto, con moventi e pulsioni ideologiche diversi, i cosiddetti movimenti hanno goduto di ampie solidarietà. C’è chi li ha difesi per puro livore anti-governativo, per il gusto di gridare sempre «no», oppure per una visione irenica e giuggiolosa del futuro (im)possibile, per paura della modernità, in definitiva, e delle sfide che questa continuamente lancia, oppure per semplice e viscerale antiamericanismo. Altri hanno visto nelle contrapposizioni violente che i movimenti prediligono una tensione, una sorta di «rivoluzione continua» che potesse colmare il grande vuoto lasciato dal crollo storico del comunismo in una parte del mondo. Si prosegue la lotta contro il capitalismo con altri strumenti ideologici, in nome dell’ambiente, in difesa di valli e foreste, contro le disuguaglianze e la Coca-Cola, ma affiorano sempre vecchie fermentazioni di certa sinistra prigioniera del passato.
Formalmente azioni estremistiche compiute e rivendicate dai movimenti sono state condannate dalla sinistra che si definisce riformista, ma si è sempre minimizzata la pericolosità di talune contiguità innegabili.

A furia di corteggiarli e di giustificarli, piccoli disobbedienti crescono, ora sono in pista per diventare deputati.
Sinistre e centrosinistra non hanno mai risolto la questione della legalità, che per i movimenti, per gran parte della galassia che li anima, resta un optional, subordinato a priorità ideologiche e pseudo-sociali.

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