Imprudente, semplicemente imprudente, D’Alema, accompagnato dalla moglie a St. Moritz. Questa volta in agguato era Alfonso Signorini. La preda era facile. Non occorreva Fabrizio Corona. Anche perché D’Alema non aveva niente da nascondere. Era, semplicemente, a St. Moritz. Come Fiona Swarovski, come Francesca Thyssen, come Gloria Thurn und Taxis, come Ira Fürstenberg; e anche come il finanziere Francesco Micheli, e come il costruttore Zunino. Ognuno di loro a buon diritto in vacanza, in belle e comode case. Più che a Cortina da anni il bel mondo va a St. Moritz; ed è naturale che, in cerca di pettegolezzi, e di nuovi amori, Signorini mandi in perlustrazione qualche fotografo. Certo non sperando di trovare, in quella riserva protetta, Massimo D’Alema.
Si accontenterebbe di George Clooney e di Elisabetta Canalis o di Totti con Ilary, se mai questi due esponenti di una élite popolare avessero mai pensato di andare a St. Moritz, capitale di aristocratici e di ricchi di terza o quarta generazione. Cortina è più per tutti; e un D’Alema a Cortina magari a presentare un libro al Palacisnetto, ci sarebbe stato tutto. Ma a St. Moritz no. Un errore che Nichi Vendola, residente a Terlizzi, in una giusta casa di contadini, mai avrebbe fatto. D’Alema,sprezzante del pericolo, e ritenendo, democraticamente, che non vi sia nessuna differenza tra un luogo e l’altro, e anche di villeggiatura, e ragionevolmente valutando che St. Moritz vale Cortina, ha serenamente osato l’inosabile. Anzi, secondo me, non ci ha neanche pensato; e se un’ombra gli ha sfiorato la mente se ne è sbarazzato dicendo: «Vado dove voglio, perché no a St Moritz?».
E così è partito tranquillo per i monti. A posteriori, direi che ha sbagliato perché solo in astratto tutti i luoghi sono uguali. Ed è vero che un tempo i comunisti non avevano il visto per andare in America. Poi, da Napolitano a Veltroni, sono diventati tutti Kennediani e Clintoniani. Ed è vero che D’Alema può legittimamente e senza falsi pudori e preoccupazioni, andare a Parigi, a Londra, a Bali; e, in barca per tutti i mari del mondo. Poi è vero che la barca, anche se in comproprietà, anche se non troppo grande, fa pensare alla proprietà privata nel modo più esclusivo e anche irritante per chi non se lo può permettere: fa pensare a Onassis, a Niarchos, ad Agnelli. E, ancora una volta, come nel caso di St. Moritz, ci si accorge che i nomi, i modi e i costumi a cui si accosta D’Alema, sono quelli di un mondo privilegiato, esclusivo, che non tutti possono permettersi. Ed è qui che l’obiettivo di Signorini appare impietoso. E D’Alema è vittima di un prevedibile fuoco nemico, neppure minacciosamente appostato.
Semplicemente fortunato. Signorini ha avuto culo. D’Alema gli si è offerto in pasto. Non è la prima volta. Qualche anno fa ancora D’Alema fu vittima del fuoco amico. Questa volta Giampaolo Pansa venne a sapere una storia sulla quale, più della stampa di centro destra non volle rinunciare a infierire. La scena era in un salotto romano, esclusivo. D’Alema era a pranzo con il compagno, già direttore dell’ Unità , Alfredo Reichlin, con Sandra Verusio e consorte, con Eugenio Scalfari e altri, tutti sinistri, ma non tutti silenziosi amici. Il cagnolino da camera, presumibilmente uno yorkshire terrier, di Reichlin, si avvicinò pericolosamente a D’Alema e cominciò a mordicchiargli le scarpe. D’Alema, stizzito, lo allontanò esclamando: «Mi sciupa le scarpe, costano un milione e mezzo di lire». Nessuno si stupì, ma qualcuno riferì. E Pansa scrisse, implacabilmente.L’episodio risale almeno a quindici anni fa e gli argomenti del giornalista satirico si possono intuire: è possibile che il leader del principale partito della politica italiana compri scarpe che costano più di uno stipendio di un operaio? D’Alema si difese con difficoltà e con imbarazzo.
Intervenì per giustificarlo il suo amico, e poi sottosegretario alla Difesa, Marco Minnitti. Fui io, anche in quel caso, a cercare di difendere D’Alema ricordando che Minnitti era calabrese e che il calzolaio era un ottimo artigiano calabrese che aveva donato a D’Alema come a me delle scarpe preziose per poterci indicare come testimonial. Nessuna folle spesa; e, in ogni caso, se anche avessimo voluto comprare siffatte preziose scarpe, avremmo, io, come D’Alema, ottenuto un considerevole sconto. Ma ormai la frittata era fatta. D’Alema non si difese bene, e apparve arrogante. In realtà, come nel caso di St. Moritz, era stato razionale e onesto. Il problema non era il costo delle scarpe ma il loro valore. Se si ha, anche in dono, una cosa che vale, la si difende e io per questo lo giudicai ammirevole. Adesso, a vederlo a St. Moritz, sicuramente con buone scarpe, o scarponcini, e sciarpa e maglioni di cachemire mi sembra sconveniente solo per ciò che St. Moritz in alta stagione evoca: lusso, ricchezza, privilegio.
Se D’Alema avesse scelto una sofisticatissima località d’Abruzzo come Santo Stefano di Sessanio o qualche remota località della Sila avrebbe forse speso lo stesso e avrebbe probabilmente mostrato un atteggiamento più aristocratico, non condizionato dal prevedibile contesto. E soprattutto non avrebbe incrociato i fotografi di Signorini sicuramente più increduli che in agguato. Ma lui si è esposto ingenuamente e, ancora una volta, ci ha messo in imbarazzo. Noi, non so lui. Post scriptum: fonti ben informate, ignote perfino a Signorini, ci informano che mentre D’Alema passeggiava per St.
Moritz il premier passava l’ultima notte dell’anno, solo, a casa sua, davanti al televisore. Come si vede che i soldi non danno la felicità. O forse la felicità è proprio questa: starsene in casa da soli a Capodanno, non in Engadina con Signorini in agguato. Ma D’Alema ci deve ancora arrivare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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