Il Comune alla sfilata «Le unioni civili gay? È solo il primo passo»

C’è tutto il campionario dei gay pride: musica pop e manette, divise eccentriche e parrucche. Piume e tacchi a spillo vertiginosi che s’incastrano nei binari del tram, lungo il percorso che da piazza Lima porta al Castello. Ci sono le bandiere di associazioni e partiti, dai radicali ai socialisti ai «gaylib». Ci sono anche i bambini, piccoli, sui carri. E questo non è scontato. Ma stavolta c’è anche di più. C’è il patrocinio del Comune appiccicato in bella vista sullo striscione che apre la sfilata - sorretto fra gli altri da Alessandro Cecchi Paone. E c’è tutto un elenco di richieste che il movimento lgbt presenta al suo sindaco. Giuliano Pisapia non si fa vedere fra i 10mila partecipanti (gli organizzatori esagerano un po’ e sparano 60mila). Dopo aver concesso il patrocinio nella prima seduta della nuova giunta non si presenta - e per questo si prende le critiche di Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia, che definisce la sua assenza «un passo indietro». Accampando la giustificazione di impegni - come si dice - precedentemente assunti, il sindaco spedisce in piazza i due Pierfrancesco, gli assessori Majorino (alle Famiglie) e Maran, in teoria più al centro di lui politicamente. Consegna loro un messaggio che parla di «soddisfazione e orgoglio» per la manifestazione. Garantisce «impegno» per «evitare qualsiasi discriminazione e per combattere la cultura omofobica». Parole caute, deludenti di sicuro per quella piazza se a pronunciarle fosse un altro. Il serpentone arcobaleno allora lo va a cercare il «suo sindaco». Passa da piazza della Scala e dal megafono gli urla: «Pisapia oggi non ci sei ma siamo sicuri che l’anno prossimo sarai in piazza con noi». Il corteo si ferma davanti a palazzo Marino ed elenca le sue richieste: l’istituzione degli sportelli contro l’omofobia, l’inclusione di Milano nella rete delle città europee «gayfriendly» e l’attuazione di campagne di sensibilizzazione per le malattie sessualmente trasmesse. Ma anche «pieno riconoscimento anche delle relazioni affettive, una politica che non discrimini famiglie formate da persone dello stesso sesso, un centro per le associazioni lesbiche-gay-bisessuali e transgender all’interno dell’istituzione di servizio, incontro e confronto culturale con le associazioni. Nella piattaforma c’è «una via gay», sul modello di altre città europee.
Il registro delle unioni civili, insomma, è dato per scontato. Da tutti. Il movimento milanese lo considera il minimo sindacale. Majorino gli dà la conferma: «Lo do per scontato perché è nel programma, poi ragioneremo su cos’altro fare. Sul terreno delle politiche sociali per il riconoscimento dei diritti civili - dice - Milano deve fare tutto perché non è stato fatto nulla». L’ultima richiesta la firma Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay: «Vogliamo portare a Milano l’Europride del 2015». «Ottima idea» per Majorino. «Certo - aggiunge - non sta all’amministrazione comunale organizzare il pride. Dopodiché ospitarlo nel 2015, l’anno dell’Expo, sarebbe un’ottima occasione. Mi stupirei se non avvenisse qualcosa rispetto al pride».
Ma tutti pensano a New York, e al via libera ai matrimoni gay. L’assessore butta la palla nel campo della politica nazionale. Ma la Milano lgbt presenta il conto ai nuovi amministratori. Il programma della sinistra parlava di «parità dei diritti e dei doveri per tutte le comunità affettive e di vita che vogliano essere riconosciute dall’amministrazione comunale. Il mondo cattolico sta col fiato sospeso.

Le Acli aprono al registro delle unioni civili: «Non andrà ad intaccare il ruolo del matrimonio, Pisapia ce lo ha assicurato - garantisce il presidente provinciale Gianni Bottalico - e il tema della coesione sociale è talmente importante che penso si possa cominciare a pensare in modo diverso, ed è ciò che Pisapia sta facendo». Il credito è sempre aperto.

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