«Condannata per un libro»

La sua colpa? Difendere le donne violate dall’Islam. «Dai mariti, dai padri dai fratelli. Comunque disprezzate e umiliate. Come in Afghanistan dove l’ultima legge le costringe a fare sesso con i mariti. «Anche se non vogliono». Daniela Santanchè parla dalla macchina scortata su cui è costretta a spostarsi da quasi tre anni. Il suo libro, La donnanegata, è stato messo all’indice dalla tivù iraniana. Una condanna a morte che ha cambiato la vita a lei e ai suoi familiari. Mai più passeggiate o bicicletta. Tutti gli spostamenti decisi e comunicati per tempo. «Ma io sono una donna di destra - alza il tono -. Ho la schiena dritta e lo sguardo fiero. E sono orgogliosa della mia cultura, della mia tradizione». Paura? «So solo che non devo arretrare. Che devo continuare a combattere per chi non ha difese. Con Souad Sbai a Roma già anni fa abbiamo aperto un centro di ascolto per le donne musulmane». Col risultato che oggi siete tutte e due sotto scorta. «Per gli integralisti islamici quello che noi facciamo è un pericolo. Loro vogliono disporre delle loro donne, quella è la loro cultura e loro voglio marcare sempre di più la differenza con la nostra». Certo, il rischio è che a parlare di culture differenti si finisca col legittimare anche comportamenti che con la cultura ben poco hanno a che fare. Che l’Occidente finisca con l’arrendersi, ormai incapace di reagire.«Non voglio più sentir parlare di multiculturalismo - si accalora Santanché - non si può accettare una cultura che si basa sulla violenza. Combatterò e sto pagando sulla mia pelle questa battaglia. Gli italiani lo devono capire, il vero pericoloè l’indifferenza. Il rischio che le minacce a chi si oppone cadano nel silenzio.

Ma vi rendete conto? Ormai dobbiamo chiedere il permesso per fare il presepio o far cantare le canzoni di Natale ai nostri bambini. Ci vuole un sussulto di orgoglio. Ministri del governo Prodi dicevano “meglio le velate delle veline”. Ma si rende conto la sinistra che così stiamo perdendo la nostra libertà? È ora di finirla».

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