Il conduttore tv fa parlare anche maglioni e cravatte

Oh se conta l’abito del conduttore televisivo, non solo in questo inizio di campagna elettorale. Quello che una volta si definiva look indica il tono e il respiro della trasmissione, il tipo di rapporto che si intende trattenere con lo spettatore. Fateci caso. Martelli, per L’incudine, alterna giovanilistiche felpe blu senza niente sotto a bizzarre giacche tirolesi verdi con guarnizioni; la Pivetti, per Liberitutti, predilige tubini neri con discreta scollatura; Lerner, per L’infedele, adotta un’eleganza inglese vagamente casual, con giacche sportive, pantaloni di velluto e morbide Clarks; Mentana, per Matrix, si annoda o dismette la cravatta a seconda del tema; Floris, per Ballarò, non disdegna camicie blu scuro con cravatte sgargianti; Bonolis, per Il senso della vita, usa golfini antracite senza maniche su camicie immacolate; Ferrara, per Otto e mezzo, s’è rimesso la giacca sopra il pullover, mentre l’Armeni sfoggia eleganti sciarpe a righe colorate, simili alle calze «parigine» di gran moda; Pezzi, per Il tornasole, indossa inappuntabili e un po’ incongrue grisaglie da manager.
Questione di gusti? Non solo.

Perché il personale stile di abbigliamento diventa, nell’imbuto tv, marchio di qualcosa: ben oltre l’abito e il monaco, quei vestiti, classici o eccentrici, riassumono un’indole e un approccio, anticipano ciò che sentiremo. Basta un dettaglio per passare da cretini. Per questo, quando capita di andare in tv, mi guardo bene dall’indossare gli amati stivali da cowboy. Finirebbe con l’inquadrare solo quelli.

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