La confessione di Maria: "Ho simulato la rapina"

Nell’interrogatorio nessun ricordo degli ultimi istanti di vita del figlioletto

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nostro inviato a Casatenovo (Lecco)
Non c’è stata nessuna rapina nella cascina di Valaperta il giorno in cui è morto il piccolo Mirko. Nessuno in casa, se non il bimbo e la mamma Maria. Loro due, uniti fino a cinque mesi prima, lui dentro di lei, separati dal parto, riuniti da un amore che si è trasformato in depressione e morte. Adesso lui è all’obitorio e lei, da ieri mattina, in carcere a San Vittore a Milano in stato di fermo che il gip dovrà convalidare. È l’assassina, gli inquirenti ne sono certi: le accuse sono omicidio aggravato e simulazione di reato.
La confessione piena per ora riguarda soltanto la messinscena. Maria, una biondina bella e fragile, ha demolito la prima versione in un lungo e drammatico interrogatorio all’ospedale di Merate. Ha ammesso di aver simulato la rapina, non l’infanticidio. Dice di non ricordare nulla di quei momenti tragici del 18 maggio scorso, di essersi allontanata qualche momento e di aver trovato Mirko irrigidito nella vaschetta per il bagno, affogato. Il procuratore della Repubblica di Lecco, Anna Maria Delitala, fa però capire di non avere dubbi.
«L’interrogatorio si è sempre svolto in condizioni delicate e difficili - ha spiegato il magistrato -. Non siamo mai riusciti ad arrivare al punto cruciale, ma ciò che è avvenuto è chiaro lo stesso. Maria Patrizio non ha mai detto: “Sì, l’ho ucciso io”. Ha cercato con molta fatica di descrivere quel che è successo. Le sue parole fanno escludere un intervento di terzi, il che smentisce la sua prima versione. Unite agli altri elementi, queste dichiarazioni fanno ritenere alla procura che lei sia responsabile anche dell’omicidio».
Otto giorni di indagini, dubbi, verità intuite ma non provate, sospetti terribili che aggiungono altro dolore alla disperazione del marito Kristian Magni, dei nonni, degli amici. Maria e Kristian avevano avuto Mirko dopo sei anni di matrimonio. Erano felici, si scambiavano ancora teneri bigliettini da fidanzati, ottimi rapporti con genitori e suoceri. Quel figlio era il loro orgoglio. «Ce lo portava a vedere con grande felicità, non riesco a rendermi conto di quanto è successo», mormora Franco Pozzi, il titolare del panificio «La Fornarina» nel centro di Arcore dove la donna lavorava come commessa. «Ha fatto una gravidanza bellissima, è venuta fino agli ultimi giorni prima del parto», aggiunge la moglie. «Era solare e sorridente», dicono i frequentatori abituali del forno.
Ma qualcuno aveva notato qualche nube leggera, una foschia sottile ma tenace, come quella stesa ieri dal caldo sulla placida Brianza. «I suoceri andavano a trovarla ogni mattina - dice la signora Carla - e le telefonavano molte volte durante il giorno». Un figlio stravolge la vita di una famiglia, la riempie di gioia e la complica. Mery, come la chiamano tutti, aveva una passione: apparire in tv. A 18 anni, nel 1993, aveva mandato foto e curriculum a Mediaset. Aveva fatto provini, era comparsa tra il pubblico di Ciao Darwin e del Milionario. Qualche soldo, fugaci momenti di notorietà tra gli amici, forse l’illusione di una vita meno anonima. Il matrimonio con Kristian, muratore; la vita a Valaperta, in una vecchia cascina uguale a tante altre ora sigillata dai carabinieri; il tran tran della panetteria; il figlio che non arriva. E che quando finalmente arriva, stravolge tutto.
Mery aveva bussato alla Asl di Casatenovo. La dottoressa Fumagalli l’aveva indirizzata a uno psichiatra di Milano che le aveva prescritto farmaci omeopatici. «Si era curata per qualche tempo ma da due mesi non prendeva più nulla», precisa l’avvocato Fabio Maggiorelli. «Roba leggera per tenere a freno l’ansia», racconta Federica Capone, vicina di casa e confidente. Ma nemmeno lei aveva colto il demone che si agitava nel cuore di Mery: «Due giorni prima della tragedia le ho affidato per qualche ora mia figlia di tre anni, se avessi dubitato non l’avrei fatto». La catechista Carla Galbusera ha visto Maria e Kristian Magni la sera prima del delitto: «Abbiamo parlato del battesimo di Mirko, previsto domenica 5 giugno. Ho trovato due genitori preparati e consapevoli. Lei cullava il figlio come tutte le mamme del mondo».
I magistrati e i carabinieri non hanno mai accreditato la versione della donna, trovata dal marito legata a una sedia con mani e piedi incerottati nella casa sottosopra. Il Ris del colonnello Luciano Garofano non ha rilevato né tracce né impronte di estranei sul nastro adesivo e nell’abitazione. «Durante l’autopsia avevo subito sospettato cosa fosse accaduto», ha detto il dottor Paolo Tricomi. Gli inquirenti hanno esaminato a lungo la vaschetta per capire se il bimbo poteva scivolare da solo oppure se doveva esservi spinto.

La ricostruzione di Mery collideva con le dichiarazioni di alcuni familiari. «Siamo distrutti», mormora Gianluigi Magni, papà di Kristian, al citofono della casa di Arcore. Forse oggi i magistrati daranno il nulla osta per il funerale del nipotino.

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