Confessioni al vetriolo dell’operaio sfruttato

I «peggiori casi» di certo revisionismo storico diventano spettacolo teatrale. In scena al teatro dell’Orologio da questa sera fino al 4 febbraio L’autobus di Stalin, pièce teatrale tratta dal saggio di Antonio Pennacchi e interpretato da Clemente Pernarella. Cosa c’entra Stalin con l’autobus? Perché un mezzo di trasporto diventa metafora dello Stato oltre che della vita individuale. «Se si guida una macchina e appare improvvisamente un cane - spiega Pennacchi, autore fra l’altro di Mammut e Palude per Donzelli e Il fasciocomunista per Mondadori -, il danno minore per non mettere a repentaglio la mia vita sarà investirlo. La cosa cambia se a comparire di fronte al veicolo è un uomo o un bambino. Per non parlare del caso in cui si è al volante di un pulmino scolastico pieno di bambini. E se sei uno statista che è a capo di 190 milioni di abitanti? E giusto che certo revisionismo storico parli di vittoria del modello unico capitalistico, di democrazia e di morte dell’utopia comunistica enfatizzando solo i crimini di Stalin?»
«Se tu pensi che con gli orrori di Stalin metti una pietra sopra le questioni dell’eguaglianza - scrive Pennacchi proprio nel volume di saggi che prende il titolo di L’autobus di Stalin (Vallecchi) - e mi convinci che è sacrosanto e giusto che tu mi sfrutti, tu hai capito male. Certo lo so anch’io che qualcosa è andato storto in Urss settant’anni fa, e che nel gulag ci stanno tutti i miei errori». Da qui la requisitoria dell’autore nei confronti di quelli che considera alcuni luoghi comuni del pensiero diffusi in Occidente, complici i mass media. Un testo, quello di Pennacchi, in cui «si parla di cose difficili con un linguaggio da bar».
«Crediamo di vivere - dice - in una democrazia, che in realtà è una democrazia a mano armata. La nostra è una dittatura della borghesia». Riferendosi poi al testo della pièce, Pennacchi osserva che «non ci sono linguaggi difficili per le cose difficili: il linguaggio deve essere comprensibile a tutti se no diventa segno di disuguaglianza, un qualcosa di elitario».
«Mi sono trovato tra le mani - sottolinea Pernarella che della commedia è interprete e coregista - un testo che non ce la faceva a stare nella struttura del saggio, una quantità di materiale eterogeneo».


I costi del capitalismo, che chiamano i costi dello sviluppo, prosegue Pennacchi, «li conosco bene»: operaio di fabbrica per tanti anni, diventato poi scrittore ha accumulato un’esperienza politica variegata (dal Msi al Psi, al Pci e al sindacato), riflessa nel personaggio proprio del suo romanzo più conosciuto Il fasciocomunista, da cui sarà tratto un film di Daniele Lucchetti.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica