Ma le stelle quante sono era laffermazione, non la domanda, che intitolava due anni fa lesordio di Giulia Carcasi, 20 e pochi anni, romana, studentessa in medicina. Per il difficile secondo libro, Carcasi si è sbarazzata delle stelle, ma rimane sullassertivo: Io sono di legno (Feltrinelli, pagg. 144, euro 11). Se nel debutto la scrittrice faceva parlare due diciottenni alle soglie della maturità classica - una ragazza che le somigliava molto, un ragazzo verosimile in cui lei non credeva però molto - stavolta le due voci narranti sono una madre e una figlia.
Lespediente narrativo che Carcasi adopera è quello dei due diari, certo non nuovissimo, ma qui declinato con notevole disinvoltura. Giulia (la madre si chiama come la scrittrice) cresce in una famiglia matriarcale, con due sorelle e un padre pressoché mai nominato. Ha un amore adolescenziale e, diventata medico, ne trova un altro, Andrea, collega brusco con cui progetta di mettere al mondo un figlio. Qui le cose si complicano e, con maestria narrativa non comune in una narratrice di 22 anni, vien fuori un personaggio collocabile fra «o malamente» della sceneggiata e Leporello, ma mercuriale come nemmeno Lorenzo Da Ponte lavrebbe immaginato.
Anche Mia, la figlia, ha praticamente solo la madre come figura adulta di riferimento; le volte che parla di nonni lo fa con un distacco e una freddezza che impressionano. Sono però distacco e freddezza le caratteristiche distintive di Mia, anche nella relazione con lunica sua amica, Marzia. Soprattutto Mia passa da un uomo allaltro a velocità persin più alta di quella che ci si aspetterebbe in una liceale. Anche a Mia, per fortuna, tocca un amore adolescenziale, Luca, cui Giulia Carcasi conferisce tratti e carattere noti a certa narrativa e cinematografia giovane recente, con la piena consapevolezza delloperazione che sta compiendo.
Già al suo secondo libro, infatti, Carcasi è scrittrice fatta. Il suo dominio della parola e della frase non teme confronti né analisi puntute di linguisti. Se Mia vien fatta parlare spesso per anafore, è perché Carcasi, di qualche anno maggiore, ha però orecchio per il frasario dei ragazzi doggi; e se alla madre scappa più di qualche luogo comune buono per un settimanale femminile, chi negherà che più di una sessantenne italiana chiacchiera (anche) così? La lingua di Giulia Carcasi tende allabrogazione dellipotassi e alluso, molto raccomandato da Alberto Savinio, di parole brevi. Anche per questo il libro si fa leggere e rileggere in fretta, anche perché il tema svolto (madre e figlia che signorano, per scoprirsi alla fine non dissimili) è sì eterno, ma sempre degno dessere aggiornato.
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