«Il congresso Pd? Uno spot Ma il prodotto non c’è»

RomaUn partito, il Pd, che è diventato «drammaticamente innecessario», il cui gruppo dirigente ha «di fatto rinunciato a far politica»; un congresso «malinconico» con due protagonisti «imbalsamati in ruoli prefissati»; che «non paiono minimamente attraversati dal pensiero del futuro, e nemmeno del presente» e sono ormai «ignorati da tutti gli attori sociali». Mentre a fare «l’opposizione di sistema» è rimasta solo la Repubblica, che ormai sembra «uno strano incrocio tra Lotta continua e Playboy».
È un quadro desolante, quello tracciato mercoledì sul Foglio da Francesco Cundari, giornalista e da pochi mesi direttore di Red Tv, il canale satellitare «dalemiano».
Tante liti, poca politica, scarsissimo interesse nella pubblica opinione. Eppure in questo congresso del Pd si sta assistendo alla prima competizione vera per la leadership, dopo le primarie pilotate per Prodi e Veltroni. Perché non funziona, Cundari?
«Per un motivo semplice: quando si è stabilito che il segretario venisse eletto con le primarie, il congresso è diventato una sede di pura campagna elettorale. Quindi non si fa discussione politica ma propaganda. È legittimo, ci mancherebbe. Ma comporta il fatto che non si possono affrontare le questioni più spinose e reali, perché quelle fanno perdere voti ai candidati, che devono pensare alle alleanze e a portare elettori ai gazebo. Mi chiedo solo, allora, quando e se ci sarà un momento di dibattito vero, in un partito che è permanentemente in campagna elettorale, che siano quelle vere o quelle interne o tutte le infinite primarie per decidere i candidati presidenti, sindaci, governatori o segretari regionali. Il Pd è come un’azienda con un attivissimo ufficio marketing, ma senza i macchinari per produrre. Il prodotto manca, c’è solo la pubblicità».
Nel frattempo, a far politica e a combattere contro Berlusconi è rimasta Repubblica. Che lei descrive come un «singolare impasto di retroscena hardcore e bollettini di propaganda». In che senso?
«In senso puramente tecnico, basta sfogliare il giornale: c’è la pagina delle dieci domande al premier, legittime per carità. Poi c’è la pagina dell’appello a sostegno delle dieci domande, poi c’è la pagina delle adesioni di Sting e Saviano all’appello medesimo. Poi si passa a quella sulla manifestazione del 3 ottobre, di cui Repubblica non si capisce se sia il promotore, l’oggetto o il media; quindi la pagina sui giovani di Locri che si imbavagliano al grido di «sono farabutto anch’io». Nel mezzo, interviste, foto e inchieste sulle avventure erotiche del premier. Tutto assolutamente legittimo, ripeto, ma mi preoccupa».
Perché?
«Perché questo scontro ideologico permanente pro o contro Berlusconi è funzionale solo a Berlusconi stesso. È il suo terreno di gioco ideale: quel che teme è il dover giocare secondo le regole della politica, essere giudicato per i suoi atti di governo. Ripeto, le domande e l’attenzione di Repubblica o di Santoro alle vicende private del premier sono legittime, non se le sono inventate loro e ne parlano i giornali di tutto il mondo. Ma in questo clima anche chi, in entrambi gli schieramenti, vorrebbe uscire dalla guerra civile permanente è obbligato a schierarsi. E che vinca o perda Berlusconi, alla fine si rischia che restino solo macerie».
Ma Ezio Mauro è stato l’ospite più acclamato, alla festa nazionale del Pd: la base è con lui...
«Questo va a merito di Mauro, che sa fare il suo mestiere, e di Berlusconi. E a demerito di chi ha diretto il Pd.

Se per anni è stata Repubblica a dettare la linea e il Pd a inseguire, è naturale che gli elettori si orientino direttamente su Ezio Mauro senza inutili passaggi intermedi. Meglio l’originale che una copia sbiadita. Lui fa il suo lavoro, è al Pd che manca la forza di ritrovare la propria libertà di pensiero e di iniziativa, la propria autonomia culturale prima ancora che politica».

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