A Natale, come è noto, siamo tutti più cattivi. L’ansia dei regali, la neve che blocca la città, il traffico anche lui eccitato per le feste, le vacanze che non saranno mai come vorresti che fossero perché New York costa troppo e a Sankt-Moritz poi non conosci nessuno, il lavoro che più si avvicina la Vigilia invece che rallentare diventa più frenetico, e poi sempre le stesse cose: quegli stupidi auguri fotografici via mail, le renne che mi fanno schifo, i «natalini» e le tristissime cene aziendali. E poi i giornali che ogni anno se ne vengono fuori con le pagine sui libri-strenna... Ci lavoro da anni nei giornali. E non ho mai capito cos’è una strenna (né tantomeno perché mai dovrei leggerlo, un libro-strenna). Dev’essere il corrispettivo letterario dei cine-panettoni: l’ultimo giallo di Carofiglio, le ristampe di Biagi, l’autobiografia di Buffon, La solitudine dei numeri primi, l’audiolibro di Gomorra... Cose così, insomma. Romanzoni e best-seller che compri fra l’Immacolata e l’anti-vigilia, li tieni sul comodino fino all’Epifania e poi li infili nella libreria con l’orecchia piegata a pagina venti, trenta toh.
Ecco, allora: per una volta proviamo qualcosa di nuovo. Proviamo le anti-strenna. Pamphlet, repêchage, ritorni, debutti, novità e ristampe - pescati fra le ultime uscite editoriali - magari poco natalizi, ma molto redditizi, in termini letterari. Libri scomodi e autori scorretti (o semplicemente «diversi») che il Giornale si sente di consigliare per un Natale meno buonista, ma - si spera - migliore.
Via, si parte col filosoficamente scorrettissimo Julius Evola (1898-1974) del quale le Edizioni Mediterranee, nella collana diretta da Gianfranco de Turris dedicata al Barone, hanno appena ripubblicato Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, una raccolta di saggi edita da Bocca nel 1932 che - come spesso accade alle opere del Maestro - risulta «stranamente» attuale, tanto da poter essere ancor oggi utilizzato come illuminante manuale per orientarsi nel babelico «spiritualismo contemporaneo», dalla New Age di ritorno alla psicanalisi catodica prêt-à-porter.
Poi un altro cattivo maestro: il poeta Ezra Pound, (1885-1972) collaborazionista fascista e/ma autore dell’opera poetica più ambiziosa del Novecento, i Cantos: le edizioni Ares in questi giorni portano in libreria Il carteggio Jefferson-Adams come tempio e monumento, un saggio apparso sulla rivista North American Review nel 1937 e tradotto per la prima volta da Andrea Colombo (e introdotto da uno dei nostri migliori poundisti, Luca Gallesi) nel quale lo «zio Ezra» esprime tutta la sua ammirazione per i primi presidenti degli Stati Uniti, in particolare per Thomas Jefferson e John Adams, uomini retti e colti, che si diedero alla politica nell’esclusivo interesse del loro popolo... in barba al sempre rinfacciato antiamericanismo di Pound.
Terzo intellettuale disorganico: Ivan Illich (1926-2002), uno dei pensatori più stimolanti e anticonformisti del secondo Novecento, anti-accademico, libertario, scomodo in tutto e su tutto: Elèuthera ripropone le Conversazioni con Ivan Illich curate da David Caley (apparse in Italia nel ’94) dove il pedagogista e teologo austriaco si fa interrogare e si interroga su tutti i «nodi» dell’(anti)modernità, dall’ecologia politica alla descolarizzazione della società.
Tra i saggi «eretici», non solo consigliabile, ma necessario è I cornuti della vecchia arte moderna di Salvador Dalì (1904-89), un pamphlet della metà degli anni Cinquanta che esce oggi da Abscondita, in cui il genio spagnolo enuncia le sue verità dell’«arte moderna»: prima accusa la bruttura generalizzata (di cui Picasso è uno dei responsabili); poi ridefinisce la nozione stessa di modernità, preferendo quella meno vaga di «classicismo artigianale»; quindi critica l’idea che l’arte sia questione di tecnica, attaccando coloro che la sostituiscono in pittura ai valori della filosofia; e infine si prende gioco dell’astrazione «perché l’uomo in quanto tale muta con rapidità: è inutile scacciarlo dalla tela a vantaggio dei cerchi e dei rettangoli».
Poi, uscito questa settimana da Scheiwiller, il saggio sulla civiltà liberale L’impero del male minore di Jean-Claude Michéa (1950), l’ex comunista eretico e «orwelliano» di ferro, che ridiscute la «scommessa liberale» recuperando nel campo delle relazioni sociali, contro gli eccessi della società ipercapitalista e consumista, il «circolo del dono» e la common decency, ovvero «modalità benevole di essere e di comportarsi, che implicano un senso intuitivo della reciprocità», ciò che Orwell indicava come tratto distintivo della «gente comune»...
E ancora, come perfetta anti-strenna, lo scorrettissimo Elogio di Nerone riproposto dalla Salerno editrice. Libro con cui, nel 1562, lo spirito inquieto Gerolamo Cardano (1501-1576) tentò la più spericolata delle revisioni storiografiche, trasformando il sanguinario imperatore romano in un «vendicatore della plebe e tirannicida»: insegnandoci - anche di fronte al peggiore dei «mostri» - a riflettere con calma prima di giudicare, a capire, conoscere e indagare prima di emettere una sentenza... Un raro esempio di garantismo assoluto.
E per la narrativa? Innanzitutto, Antonio Delfini (1908-63), il più dimenticato fra gli scrittori del nostro recente passato, del quale Gianni Celati, il più rimosso dei nostri scrittori presenti, ha scelto e introdotto per Einaudi la raccolta di racconti Autore ignoto presenta, titolo che riprende lo slogan del volantino auto-pubblicitario con cui questo irregolare e stravagante autore lanciò la sua prima raccolta di prose poetiche alla Fiera del libro di Modena, anno 1931. E per citare un altro narratore «anomalo», inimitabile nel raccontare cose atroci, orribili e strazianti, va fatto il nome di Danil Charms, di cui Adeplhi ha da poco ritirato fuori Casi, una delle pochissime cose leggibili in italiano di questo «assurdo» scrittore nato a San Pietroburgo nel 1905 e condannato da Stalin a morire in una clinica psichiatrica nel ’42 in quanto «voce contraria alla dittatura del proletariato»... Ancora. Sorvolando sul libro dell’anno, per dar conto del quale non basterebbe una pagina (né sarebbe in grado la nostra penna), ovvero lo straordinario Diario del polacco Witold Gombrowicz (1904-69), del quale Feltrinelli pubblica la parte relativa agli anni 1959-69 (nel 2004 uscì il primo volume, sul periodo 1953-58), basti ricordare gli Scritti (1911-45) di Giorgio De Chirico curati da Andrea Cortellessa per Bompiani e il ritorno del romanzo-culto Il cielo dei violenti di Flannery O’Connor (1925-64) da Einaudi.
Per il resto non rimane che incartare le ultime due anti-strenne, due volumi per veri «maniaci» dei libri: la turbolenta e scandalosa vita di Kiki de Montparnasse nella Parigi bohémien degli anni Venti raccontata dalla graphic novel di Catel (il disegnatore) e José-Louis Bocquet (lo sceneggiatore) che dopo aver dominato per mesi le classifiche francesi arriva da noi grazie a Excelsior 1881 (la stessa casa editrice che per Natale esce col romanzo Le avventure di una monaca vestita da uomo di Thomas de Quincey); e il saggio di Mario Arturo Iannaccone sui retroscena della Rivoluzione psichedelica (Sugarco), ovvero gli strani legami fra Cia, hippies, psichiatri, il guru dell’Lsd Timothy Leary e la rivoluzione culturale degli anni Sessanta. Giusto per finire l’elenco, e per iniziare il viaggio.
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