Consoli: «Giro l’Europa ma mi sento sempre un’artista di nicchia»

Dopo il primo posto in classifica ora il successo dei concerti all’estero: «Ho iniziato un viaggio che mi riporta alle mie radici»

Paolo Giordano

nostro inviato a Barcellona

A sentirla così, mentre prova i suoni sul palco del Bikini, Carmen Consoli ha la furia dell’artista: calibra gli accordi, li aggiusta, invoca gli strumenti. «Ora ci vuole il banjo», impone. Poi, nei camerini, quando la furia cede il posto alla riflessione, si guarda i polpastrelli delle dita: sono lividi e macchiati di verde «perché le corde della chitarra acustica devono essere pizzicate con forza, quasi maltrattate per tirarne fuori la voce». Sul filo tra furia e riflessione, in queste settimane Carmen Consoli ha girato l’Europa suonando (anche) le nuove canzoni del ciddì Eva contro Eva, dimostrando così di essere «siculopolita», una siciliana che parla la lingua del mondo prendendosi pure il lusso di farsi capire. E così, qui a qualche isolato dalle ramblas, il pubblico del piccolo Bikini l’ha accompagnata cantando in italiano per quasi tutto il concerto, l’ha coccolata, ed è esploso quando Besame mucho è diventato il canto d’arrivederci di una novella musicale lunga venti canzoni pizzicate, quasi maltrattate, per farle rivivere da sole sul palco.
Carmen Consoli, in Italia lei è un best seller. E un tour europeo se lo possono permettere in pochi.
«Ma io rimango sempre un’artista di nicchia. E anche quando suono, mi piacciono i teatri, i posti raccolti».
Ma a Milano ha suonato al Datch Forum di Assago, mica un posticino qualsiasi.
«Il merito è di un ingegnere che ha creato una struttura capace di rendere l’ambiente più intimo, più vivibile. E infatti durante il concerto non volava una mosca».
Strano sentirlo dire da lei: era la cantantessa rock.
«Ho registrato questo disco Eva contro Eva convinto che il pubblico non mi seguisse e invece sembra aver accettato la mia decisione di appendere al chiodo per un po’ la chitarra elettrica. Voglio cercare cose nuove, ho questa fretta anche perché mi accorgo che la nuova generazione si è finalmente svegliata».
Da che cosa?
«Da una pigrizia che amorevolmente mi dà fastidio: ci siamo addormentati anche per colpa dei mass media. Io sono ambasciatrice dell’Unicef e mi accorgo che, se non c’è cultura, non ci si può ribellare al fatto che nei Paesi poveri arrivino più armi che libri. Che esempio è il nostro, che abbiamo vissuto per anni con il cloroformio di gossip e informazioni vacue, inutili. Però da qualche mese sento una vibrazione diversa, insomma c’è più movimento».
Si è risvegliata anche la musica?
«Io compro dischi in ogni città dove canto. Mi piace capire quale musica si ascolta nelle altre nazioni. Ad esempio, qui ho preso il ciddì di Carmen Paris, Jotera lo seràs tu: questi sono artisti che hanno una vitalità straordinaria, peccato che non siano conosciuti e che la stampa non li supporti a dovere. Anche in Italia capita così, però. Quando è uscito il nuovo album di Marco Parente, che è bravissimo, nessuno l’ha segnalato. Per fortuna c’è gente come Samuele Bersani, che riesce a sposare qualità e visibilità».
Anche lei ci prova. Il 30 giugno andrà in onda una puntata di Storytellers su Mtv in cui lei ha cantato e parlato quasi come una maestra. E nel suo ciddì spuntano addirittura versi di Rosa Balistreri.
«Lei è la Janis Joplin italiana. Era di Licata, in provincia di Agrigento, cantava con una voce originalissima versi forti come «preti e mafia si stringono la mano».

Anche per questo ho scelto due suoi versi per aprire il brano La dolce attesa. L’esplorazione delle mie radici è nata per merito suo. Un giorno a Parigi sono entrata da Fnac e ho comprato un suo ciddì: quel giorno è iniziato il viaggio più affascinante che io abbia mai fatto».

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