Paolo Giordano
da Milano
Dopotutto, negli accenti spasimanti, nel vibrato spaurito del verso «Nel caso fosse maschio, Vincenzo Maria» ci sono le chiavi per entrare in Eva contro Eva, il nuovo ciddì di Carmen Consoli che stamane va ai vertici della classifica e stasera si presenterà sul palco del DatchForum di Milano (ultimo concerto del brevissimo tour italiano). Lei è tutta lì, impavida visionaria antica, mentre racconta la gravidanza isterica di Pippa la Pazza nella Dolce attesa, e si attorciglia, saccalora, piange cantando «lincrescioso equivoco di cui poi era la sola ed unica artefice». Sono le storie piccole delluomo, le stesse che si ritrovano anche in Maria Catena che «non seppe reagire al rifiuto del parroco di darle lostia» o nel Signor Tentenna che non vuole «assumersi il rischio di una scelta», insomma in quei ritratti di dramma che Carmen Consoli ha depurato, filtrato, assolutizzato.
Dice: «Io sono scesa a visitare il girone della maldicenza» ed è inutile tirare in ballo Verga o Pirandello perché «la provincia che racconto è la provincia mentale, quella che a turno tutti viviamo prima o poi».
E allora stasera lo farà al DatchForum di Milano con il suo gruppo (al quale si aggiungono i Lautari) mettendo insieme le due anime che finalmente convivono, quella di rockettara e quella, più letteraria, di cantastorie svincolata dallattualità, capace di cantare un Piccolo Cesare che ha i caratteri e i luoghi comuni dei nostri cesari ma che «per me è solo Napoleone, a lui pensavo quando lho scritto».
Carmen Consoli fatica a diventare guerrillera, a scatenarsi nellenfasi politica che da sempre regala a tanti artisti gli ottani dellispirazione. «A me interessa lallegoria del potere», spiega e poi divaga in una crociata contro la «follia collettiva cui stiamo assistendo sia nel mondo che a casa nostra: le coscienze dormono e il gossip si è fregato tanta parte della nostra memoria».
Quando può, Carmen Consoli gira. Londra. Parigi. Da sola. «In Francia ho visto mostre e concerti, ho sentito battere la cultura fin dentro le vene. Mi sono accorta che con larte si può anche sopravvivere e guadagnare. Ma quando torno qui, il pettegolezzo invade tutta la comunicazione e io mi chiedo: ma che me ne frega di sapere che cosa cè nelle mutande di Taricone». E senza pensarci, tira in ballo e mette a confronto i due grandi fratelli, quello reality e quello di Orwell, quello che cerca lo share e quello che spiega lutopia negativa.
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