Consulta, Vaccarella: "Indietro non torno"

Il giudice ha sciolto la riserva confermando le proprie dimissioni dalla Corte costituzionale. Nella lettera di addio al presidente Bile attacca Prodi: "Troppo generiche e rituali le sue parole. Nessun ministro ha smentito le parole sulle ingerenze"

Consulta, Vaccarella: 
"Indietro non torno"

Roma - Il giudice Romano Vaccarella ha sciolto la riserva confermando le proprie dimissioni dalla Corte costituzionale. Dimissioni irrevocabili. Dopo aver incassato l’unanime rifiuto dei colleghi alle sue dimissioni, il giudice costituzionale, che lunedì scorso aveva sbattuto la porta per denunciare la mancata reazione delle istituzioni di fronte alle ingerenze a "mezzo stampa" di ministri e sottosegretari sull’ammissibilità dei referendum, ha comunicato la propria decisione. La Corte costituzionale è stata convocata per le 17.30 di oggi. (Leggi: "Così un giudice ha fermato l'attacco alla Consulta").

Contro Prodi "Ho ritenuto, e ritengo, che le generiche e rituali dichiarazioni intervenute il 29 aprile", da parte del presidente del Consiglio Romano Prodi, "non fossero in alcun modo idonee a fugare il mio convincimento". Questo uno dei passaggi principali della lettera che il giudice costituzionale Romano Vaccarella ha consegnato stamani al presidente della Corte Franco Bile per confermare le sue dimissioni irrevocabili.

La lettera di dimissioni "Caro Presidente, ho preso atto della delibera con la quale la Corte ha deciso, all’unanimità, di non accettare le mie dimissioni: dimissioni - delle quali avevo oralmente anticipato le ragioni, fin dal 28 aprile, sia a te che al vicepresidente Flick - che erano originate non già dal fatto che esponenti del governo avessero espresso dubbi sull’ammissibilità del referendum ma
1) dal fatto che alcuni di tali esponenti si dicessero sicuri della "disponibilita" della Corte a seguire i suggerimenti del Governo stesso
2) dal fatto che tali gravissimi dichiarazioni non fossero state immediatamente e pubblicamente smentite dai ministri in questione (e, nel corso di questa vicenda, si è appreso che volutamente non sono state smentite perché... non vere!)
3) dal fatto che una vicenda di tali gravità non avesse provocato alcun intervento delle istituzioni.

Tale silenzio mi ha reso evidente la considerazione nella quale sono tenuti il ruolo e la funzione della Corte (e ciò del tutto a prescindere dal fatto che, nel caso di specie, si trattasse di un referendum) e ho ritenuto, e ritengo, che le generiche e rituali dichiarazioni intervenute il 29 aprile non fossero in alcun modo idonee a fugare il mio convincimento. Nella sua delibera la Corte mostra di condividere le mie preoccupazioni sulla considerazione in cui essa è stata tenuta da quelle dichiarazioni (e sulle interferenze che tale considerazione consente e incoraggia), e mi conforta il fatto che con ciò essa escluda che io sia "un attaccante di calcio che si produce in una capriola per indurre l’arbitro a fischiare un fallo inesistente", ovvero una sorta di "agente provocatore", così come esclude la tesi "complottarda" secondo la quale le mie dimissioni avrebbero seguito "una strana tempistica".

Qualsiasi cosa pensino - ciascuno nel gergo e nella logica che gli sono propri - gli autori di tali dichiarazioni circa la "incomprensibilita" (meglio, l’inconcepibilità, in questo Paese) di dimissioni date a tutela di un organo costituzionale e della propria dignità personale, la realtà è semplicemente questa; e comprendi bene, caro Presidente, che - non certo per secondare il ’delicatò invito di un autorevole ministro della Repubblica, ma anche per quanto successivamente accaduto - non posso che confermarle irrevocabilmente. Ti prego di esprimere ai colleghi la mia gratitudine per la solidarietà e la stima dimostratemi dopo le mie dimissioni e la speranza che questa vicenda giovi alla Corte della quale ho avuto l’onore di far parte".

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