Consultazione morta, ecco chi l'ha uccisa. E perché

Il referendum vive ancora negli articoli della Costituzione italiana: ma come strumento di democrazia è morto. Il non raggiunto quorum di ieri - e non raggiunto in misura clamorosa - è equivalso ad un atto  di decesso. Gli italiani, che da quattordici anni a questa parte avevano fatto naufragare ogni tentativo di risolvere per via referendaria problemi politici e istituzionali, hanno opposto non un no d’opposizione, ma un no d’indifferenza plateale - che è ancora peggio - ai quesiti di Mario Segni e Giovanni Guzzetta.

Non si tratta più di discutere sulle ragioni del sì e sulle ragioni del no. Il dibattito si addice ai vivi, e il referendum non lo è più avendo perso la sua funzione di grande verdetto popolare su opzioni semplici e chiare. Era diventato il più delle volte un sofisticato congegno per raggiungere lo scopo che al referendum italiano - esclusivamente abrogativo - era in teoria vietato: quello di creare nuove leggi. È comprensibile adesso l’esultanza della Lega, che all’ultimo referendum s’è opposta perché l’avrebbe privata del potere di condizionare la maggioranza.

Ma altre forze politiche che furono divise o incerte alla vigilia del voto devono affrontare, con minore passionalità del Carroccio, alcuni interrogativi. Perché il referendum è entrato in agonia? Cosa conviene fare di questo reperto di altre stagioni della Repubblica? Mi pare evidente che il referendum concepito dai Costituenti dovesse essere utilizzato per dilemmi di primaria importanza da sottoporre alle intelligenze e alle coscienze dei cittadini. Per questo si volle che la partecipazione popolare alle scelte fosse molto consistente (il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto). Il meccanismo funzionò a dovere per le decisioni cruciali: repubblica o monarchia, divorzio sì divorzio no, aborto sì aborto no.

Craxi riuscì a mobilitare gli italiani - quasi l’80 per cento di partecipanti al voto - anche per quel referendum sui tagli alla scala mobile in cui gli italiani dimostrarono uno straordinario civismo, pronunciandosi per il sacrificio. Alcuni di quei referendum - o devo scrivere referenda? - segnarono svolte storiche. Per referendum, l’ho già accennato, finì la monarchia, per referendum l’Italia cattolica respinse le indicazioni della Chiesa e volle il divorzio e l’aborto. L’incisività politica del referendum si manifestò un’ultima volta - era il tempo di Tangentopoli, il Paese viveva una stagione di rifiuto dei partiti che avevano governato - con il referendum sulla preferenza unica di Mariotto Segni, avvio al bipolarismo. Erano canti del cigno d’un istituto in declino: per il tecnicismo a volte allucinante dei quesiti; per la strumentalizzazione sfacciata dei risultati - verdi e socialisti insistettero perché un referendum che si limitava a cancellare alcune facilitazioni concesse agli enti locali che accettassero centrali atomiche diventasse un no totale e radicale al nucleare -; per la disinvoltura arrogante con cui il governo e il Parlamento neutralizzavano con espedienti da Azzeccagarbugli la volontà popolare.

Questo accadde - ricorro alla memoria - per il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, per il referendum ordinante la soppressione del ministero dell’Agricoltura, per il referendum sul finanziamento pubblico dei partiti. L’arma in dotazione al popolo si rivelava così desolantemente spuntata e inutile. Le condizioni poste dalla Costituzione - prima tra tutte il quorum - non sono più idonee se la fiducia nel referendum si affloscia. Ripeto: ho la convinzione che il referendum italiano funzioni egregiamente agli snodi importanti della politica e della società, per alti temi istituzionali o etici. Non ho le idee chiare sulla opportunità o no di introdurre nel nostro sistema il referendum propositivo, che non si limita ad abolire qualcosa, ma crea nuove norme.

Temo che in un Paese di legulei ne deriverebbe una gran confusione.

Se invece si vuole il referendum à la carte, come quelli svizzeri, utilizzabile su problemi minori e con frequenza, bisogna secondo me rinunciare al quorum, magari aumentando le firme di presentazione, e dare maggiore snellezza e brevità all’esercizio del voto. Sempre che lo si voglia ancora vivo il referendum. In caso contrario, va benissimo così.

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