La solita conferenza stampa, gli stessi occhi vuoti e stralunati, lo stesso tono accorato. Non ci posso credere, non so spiegarmi, la quantità trovata è ridicola, la sostanza non aiuta ad andare più forte, gli esperti dicono che è tutta colpa della carne mangiata la sera prima, e comunque io sono da sempre contro il doping...
Stavolta tocca ad Alberto Contador, il più forte ciclista contemporaneo: soltanto lui sa se è sincero o se come tanti predecessori sta recitando alla grande. Per il momento fa fede la notizia: l'ultimo vincitore del Tour è positivo ad un controllo del 21 luglio, giorno di riposo a Pau. Tracce effettivamente minimissime di clenbuterolo, farmaco stimolante del sistema nervoso centrale, contenuto in medicamenti antiasmatici. Soltanto quattro laboratori al mondo sono in grado di rilevare simili residui: uno di questi Colonia, che difatti ha impallinato il campionissimo spagnolo.
La faccenda è talmente grave e talmente volatile che la stessa Uci (federazione mondiale) si sta prendendo del tempo: in attesa dei complicatissimi accertamenti scientifici, Contador viene sospeso. Caso mai tutto fosse confermato, l'aspettano due anni di squalifica e la vergogna di un Tour cancellato.
Per gli amanti e gli odianti del ciclismo è un penoso rito che si ripete. Ormai i risultati delle grandi corse sono come il vino: vanno lasciate riposare un po', prima di bersele. Un paio di mesi almeno. Giusto il tempo di conoscere, assieme alla classifica generale dei tempi, anche quella delle sostanze chimiche. E' un'abitudine fissa: non c'è grande corsa degli ultimi anni che non sia da riesumare e riesaminare in seconda sede, con le analisi antidoping sottomano. E non c'è verso di rompere la nuova tradizione. L'unico rimedio sensato sembra chiudere le cronache e i racconti delle gare con tanti puntini di sospensione. Una cosa del tipo: signori, il Tour finisce a Parigi con Contador primo, però aggiorniamoci, perché niente è ancora deciso
. Come dicono quelli del calcio anche alla penultima giornata, il campionato è ancora lungo. Nel ciclismo davvero.
E' vita, questa? No che non è vita. Ma la guerra mondiale dichiarata dal ciclismo al doping, in palio la sua sopravvivenza, prevede i più impensabili e complicati accorgimenti. Cercando ogni volta il pelo nell'uovo, serve tempo. Esami molto sofisticati, che soltanto alcune università sono in grado di portare a termine. Esami che richiedono anche lunghi tempi tecnici. La conseguenza è questo eterno condizionale, che accompagna ogni corsa. Contador potrebbe aver trionfato nel suo terzo Tour. Forse, chissà. A risentirci fra due mesi per definire la questione. La ranzata dell'antidoping è come la vendetta dei cinesi: si serve fredda.
Inutile poi specificare che la corsa, oltre tutto, non finisce nemmeno dopo i risultati ufficiali dei controlli. Anche questo in fondo è solo un inizio. Partono gli avvocati, partono le consulenze scientifiche, partono i processi sportivi e penali. In un certo senso, le grandi corse del ciclismo non finiscono mai. Partono da una città precisa e si perdono verso l'infinito.
Quanto a Contador, il fortissimo a cronometro e il fortissimo in salita, non si può dire che la notizia gli farà del bene. Le sue imprese sono eclatanti (a 26 anni ha già vinto i tre grandi Giri, tre volte quello francese), ora saranno in molti a spiegarsele in un certo modo. Va detto che proprio perché così vincitore ha subito un miliardo e mezzo di controlli. Ma quand'anche riuscisse a dimostrare che a tradirlo fu soltanto una bistecca assassina, questa macchia non sparirà mai. Purtroppo per lui, non lo aiutano le sue origini. Nato e cresciuto in Spagna, fa parte del ciclismo più impunito e più allegro del pianeta terra. Nella totale indifferenza dei dirigenti locali, in questo Paese è maturato ed esploso il più grande scandalo di sempre (Operacion Puerto, allargata anche ad altri sport). Sarà un caso, ma in questo stesso Paese, proprio in queste stesse ore, assieme a Contador sale alla ribalta pure Mosquera, meno campione di lui, certo, ma pur sempre antagonista fino all'ultimo chilometro del nostro Nibali nell'ultima Vuelta, peraltro vinta dal giovane italiano. Anche Mosquera positivo (assieme al gregario Da Pena). In questo caso, minore la sorpesa: a 35 anni, senza alcuna vittoria alla spalle, questo tizio aggrediva le salite come un tarantolato. Non può essere, come fa? Ci si chiedeva ovunque.
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