Chiamiamolo Fattore G. È la generosità disinteressata perché anonima, che ha contraddistinto le settimane successive al terribile terremoto nel centro Italia. Sono stati superati - solo grazie ai cosiddetti sms inviati al numero 45500 - i tredici milioni e settecentomila euro. Successe qualcosa di molto simile già nel 2012, c'era anche allora un terremoto di mezzo: era quello che investì l'Emilia-Romagna e furono raccolti 14.371.437 euro. Pochi secondi valgono due euro. Un'altra dimostrazione di fattore G di massa è il costante successo di Telethon che nell'ultima maratona televisiva, la 26ª della sua storia italiana, ha raccolto ben 31 milioni e mezzo di euro.
Il fattore G si attiva in due modi: come gesto corale o come atto unico. Gli esempi di quest'ultimo tipo non mancano, tanto che diversi analisti parlano del nostro come del periodo della «rivoluzione filantropica»: la tendenza da parte dei più ricchi del globo a devolvere in beneficenza parte dei loro profitti. Il primo fu Bill Gates che, già 15 anni fa, con la moglie Melinda creò la sua fondazione benefica. Da poco ha lanciato anche «The giving plendge», progetto in cui ci si impegna a devolvere la metà del proprio patrimonio: vi hanno aderito un centinaio di milionari americani. Scelte simili le hanno fatte anche Richard Branson, patron di Virgin, e il magnate George Soros, per non parlare dell'annuncio di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, di redistribuire su varie società ed enti benefici il 99% del valore delle azioni del suo celebre social network. La generosità vip parla anche italiano: Flavio Briatore, coinvolgendo alcuni amici, ha deciso di devolvere 500mila euro a progetti benefici nelle zone colpite dal terremoto e la storia di Alex Fodde che vi raccontiamo (articolo a fianco) ne è un altro esempio.
Che cosa spinga l'uomo a essere generoso col prossimo è materia di studio per gli scienziati: recentemente, sulla rivista dell'Accademia americana delle scienze è stata pubblicata una ricerca dell'università di Oxford e della University college di Londra che individua una particolare regione del cervello, la corteccia cingolata subgenuale anteriore, come la più attiva nelle persone altruiste. Altri studi sostengono che donare fa bene alla salute: abbassa la pressione, riduce lo stress, fa vivere più a lungo, mette di buonumore.
Bisognerebbe chiederlo a un terzo della popolazione italiana: secondo un recente sondaggio Gfk Eurisko, infatti, il 33% dei nostri connazionali dichiara di avere donato del denaro almeno una volta negli ultimi due anni. E se guardiamo i dati dei cosiddetti lasciti solidali con cui nel testamento si dona parte o tutta l'eredità a enti no profit, gli italiani si manifestano abbastanza generosi: lo fa il 14% dei cittadini (col picco del 27% tra le persone senza eredi diretti). Sta di fatto che questa «rivoluzione filantropica» non riguarda solo le persone abbienti. Cresce anche una generosità liquida e diffusa, a portata di mano e a misura di clic.
Lo dimostra il successo in rete di una miriade di piattaforme di crowdfunding (che significa, appunto, raccolta fondi popolare, di solito tramite internet) a scopo benefico per promuovere piccole o grandi cause solidali. Si chiamano Eppela (www.eppela.com/it), Buona causa (http://buonacausa.org/), Io dono (www.iodono.com) o Caremaker (caremaker.it): diversamente delle comuni piattaforme di crowdfunding, utili per lanciare progetti lavorativi come spesso accade per le start up, si concentrano su raccolte no profit.
Angelica Mihoc Varga, romena residente nella provincia di Milano, ha per esempio lanciato su Caremaker una campagna per sostenere gli studi universitari di suo figlio maggiore, che ha adottato, insieme alle due sorelle ancora adolescenti, quando sua cognata è morta: ha raccolto circa 900 euro, con singole donazioni di dieci euro l'una. È la solidarietà 2.0. E funziona.FAm
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