Contrada, il Colle rettifica ma spunta un’altra verità

Napolitano: «Non mi ha chiesto la grazia». E infatti l’ex 007 supplicava un’iniziativa spontanea del Quirinale

da Roma

«Non vi è stata alcuna marcia indietro, come si è volgarmente affermato da qualche parte, né tantomeno ho subìto condizionamenti di sorta». Sul caso Contrada il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, punta i piedi e alza la voce. Rispondendo a un appello di Gustavo Selva per la concessione della grazia all’ex 007 del Sisde, l’inquilino del Quirinale puntualizza che il suo stop all’iter dell’istruttoria di grazia non è attribuibile ad alcuna pressione. Il capo dello Stato si dilunga nell’interpretazione dei fatti, ma quegli stessi fatti gli danno torto. Vediamo perché. Scrive il capo dello Stato. «Nel prendere atto che, a seguito delle dichiarazioni di Contrada e del suo legale, l’implorazione dell’avvocato non doveva essere configurata come domanda di grazia, ho comunicato al ministro della Giustizia, il 9 gennaio scorso, che la procedura aperta su quella base non poteva dunque avere ulteriore corso. L’apertura dell’istruttoria non c’entra con la grazia di ufficio». E così l’aver interessato il Guardasigilli «non aveva nulla a che vedere con l’avvio di una procedura per la concessione d’ufficio della grazia che avrei dovuto, nel caso, espressamente evidenziare». Vediamo i fatti.
Il 20 dicembre il difensore di Contrada, Giuseppe Lipera, invia al capo dello Stato una «lettera-supplica» (definita anche «implorazione») nella quale si invita a valutare l’ipotesi di «concedere la grazia, anche se non richiesta» dal suo assistito. Non è assolutamente una domanda di grazia, che come l’avvocato e il Quirinale sanno bene si indirizza al ministro della Giustizia per il tramite del procuratore generale della corte d’appello che ha emanato la condanna, oppure attraverso il giudice di sorveglianza del distretto dove il detenuto sta scontando la pena. Il 24 dicembre, il Quirinale recepisce ufficialmente la lettera-supplica che invita Napolitano ad attivarsi sua sponte (una sentenza della Corte costituzionale post processo Sofri lo autorizza espressamente, così come l’articolo 681, numero 4, del ccp gli dà mandato di agire anche se non vi è richiesta né proposta).
Con il via libera del Quirinale protestano i familiari delle vittime della mafia. Rita Borsellino si fa ricevere da Napolitano, e dopo il colloquio si dice rassicurata. Rassicurata su cosa? L’avvocato Lipera chiede immediatamente udienza al Colle. Ma a riceverlo trova il consigliere giuridico Loris D’Ambrosio il cui pensiero verrà riportato dal Corriere della sera: la lettera è da interpretarsi come «domanda di grazia». Strano, perché in un fax inviato all’avvocato alla vigilia di Natale proprio D’Ambrosio aveva parlato espressamente di «implorazione-supplica» (e non di grazia) in seguito alla quale Napolitano aveva ritenuto di avviare l’iter.

La sera del 10 gennaio D’Ambrosio archivia però la pratica mentre Contrada continua a dire di non aver chiesto alcun provvedimento di clemenza: alza il telefono e comunica all’avvocato che il Presidente ha bloccato l’iter avendo interpretato quella sua «lettera» come una «domanda di grazia». Se non è una marcia indietro questa, cos’altro è?

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