Contro i governi del Polo hanno scioperato diecimila volte in più

Quest’anno Caf e sindacati hanno ottenuto dallo Stato 580 milioni

Felice Manti

Più di mille miliardi di vecchie lire l’anno. Questo è lo «stipendio» che nel 2005 lo Stato ha destinato ai sindacati. Per l’esattezza 580 milioni di euro tra finanziamenti a Cgil, Cisl e Uil. A questi soldi vanno aggiunti i finanziamenti garantiti ai patronati e ai Caf convenzionati con l’Inps dalla legge 152 del 30 marzo 2000, che stabilisce un’aliquota dello 0,226% dei contributi fiscali raccolti dai Caf e dai patronati. Altri 350 milioni di euro, circa 13 euro in media per ogni pratica fiscale. È questo l’accordo che Berlusconi vorrebbe rivedere, «liberalizzando» di fatto il mercato dei Caf, nel tentativo di modernizzare il sindacato e il sistema Paese.
Con oltre 10 milioni di tesserati tra Cgil, Cisl e Uil, si può parlare di strapotere economico e politico. Il sindacato ha anche avuto la forza di costringere il governo (di sinistra) ad aggirare il «sì» al referendum dell’11 giugno del 1995, promosso dai radicali.
Nonostante l’abrogazione dell’articolo 26 dello Statuto dei lavoratori non è infatti venuto meno l’obbligo di legge per il datore di lavoro di operare la trattenuta sindacale, ma è stato di fatto confermato grazie a un accordo tra governo, sindacati e imprenditori che ha nuovamente riconosciuto il diritto di riscossione. Quando nel ’99 i radicali proposero altri quesiti contro lo strapotere sindacale, l’allora ministro Salvi disse: «Il governo sui referendum radicali che riguardano lavoro e welfare non sarà neutrale, ma farà una vera battaglia politica per difendere i principi costitutivi della sinistra».
Tanta gratitudine (ricambiata) dei sindacati nei confronti dei governi di sinistra, e altrettanta acredine contro Berlusconi. Dati alla mano, è evidente la differenza di trattamento che Cgil, Cisl e Uil hanno destinato al governo a secondo del colore politico. La battaglia iniziata nel 1994, quando con lo sciopero generale contro la riforma delle pensioni innescò la spallata al primo governo del Cavaliere e al ribaltone del ’95, non si è mai conclusa. Fu uno sciopero «politico», non legato a vertenze contrattuali come il rinnovo dei contratti. Il primo di una lunga serie. Negli anni di governo del centrodestra buona parte delle manifestazioni di piazza, secondo l’Istat, sono state «estranee ai conflitti originati da rapporti di lavoro». Nel 1994 le «ore scioperate per motivi estranei» furono 15,967 milioni, il doppio dei 7,651 milioni di ore legate a vertenze contrattuali. Poi il silenzio. La stessa riforma delle pensioni, realizzata dal governo Dini, venne fatta «digerire». Così come passò senza troppe polemiche il cosiddetto «pacchetto Treu» che ha di fatto inaugurato la stagione del precariato.
Nel 1998, l’anno del voltafaccia di Bertinotti a Prodi e il seguente insediamento di D’Alema, le «ore scioperate» crollarono a poco più di 4 milioni, delle quali appena 256mila di natura politica. Nel 2002 il nuovo boom di scioperi politici: delle oltre 34 milioni di ore scioperate quasi 28 milioni di ore sono legate a proteste per motivi politici.
La stagione di Prodi, D’Alema e Amato è passata dunque alla storia per l’imbarazzante semisilenzio della piazza. Nel quadriennio 1996-2000, le ore medie di sciopero l’anno sono state solo 12mila. Le ragnatele a bandiere, fischietti e striscioni sono state tolte nel 2001. Nel quadriennio fino al 2004 le ore di sciopero politico sono aumentate del 10mila per cento rispetto al quadriennio precedente: ben 12 milioni di ore. Negli anni dei sinistra, insomma, i sindacati erano sostanzialmente «disoccupati». Nel 2000, (governo D’Alema) le ore di sciopero politico furono pari a 208 ore al giorno. L’anno scorso le ore di sciopero giornaliere sono state 27 volte di più: 5.770.
E quest’anno si ricomincia. Secondo l’Istat nel periodo gennaio-maggio 2005, il numero di ore non lavorate è stato di 2,7 milioni (+0,2% rispetto all’analogo periodo del 2004). Di queste appena il 44% (circa 1,2 milioni di ore) è da imputare a conflitti per il rinnovo del contratto di lavoro. Che i sindacati abbiano il cuore a sinistra e la bandiera nella mano destra non è un mistero. I rapporti privilegiati tra mondo sindacale e opposizione sono confermati anche dai ripetuti cambi di casacca degli esponenti sindacali di primo piano, che si sono tuffati nell’agone politico: dall’ex segretario Cisl Franco Marini, dominus della Margherita, a Bertinotti (ex Cgil) al recente Cofferati.
Anche la stampa estera se n’è accorta da tempo. Nel febbraio 2002 Le Monde scrisse: «In Italia l’opposizione a Silvio Berlusconi si cristallizza da una parte attorno a cineasti e scrittori e dall’altra attorno ai sindacati».

Il giornalista francese Daniel Vernet constatava che «davanti alla passività della sinistra classica la contestazione è uscita dal parlamento per ritrovarsi nella strada», per impedire a Berlusconi e ai suoi alleati di «realizzare il loro programma senza compromessi e negoziati, praticando uno spoil system di dimensioni sconosciute in un paese celebre per la sua arte di equilibri sottili». Allora come oggi.

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