Controllare e punire

La fine della campagna elettorale deve dare luogo ai fuochi d'artificio. Le ultime battute non possono essere che scoppiettanti, razzi nel cielo blu. E così Walter Veltroni ha chiesto a Berlusconi di garantire per i suoi alleati, la Lega Nord e il Movimento per le autonomie, che hanno parlato di fucili. Sono fucili che non hanno mai sparato; e l'unico reato di cui è stata incolpata, non la Lega ma l'ambiente vicino ad essa, è di aver fatto sventolare il vessillo di Venezia sul campanile di San Marco: come se l'Italia non fosse stata Repubblica di Venezia e la Serenissima non fosse la maggior dote dell'Italia nel secondo millennio.
I fucili degli elettori di Veltroni, della lunga storia della sinistra italiana hanno sparato molte volte. Dal giorno della Liberazione in poi il sangue versato in Italia è stato opera delle figure appartenenti all'album di famiglia della sinistra comunista, che si sono passati lo stendardo della rivoluzione. Veltroni non è un avvio di diversità dalla sua storia, ne è solo l'ultimo frutto. Ed egli, accusando Berlusconi dei fucili verbali, dimentica la storia del lungo fiume rosso, quella della più radicale violenza della storia che è stato il comunismo: anche il comunismo italiano.
Veltroni fortunatamente per lui è abbastanza giovane da non ricordare l'appoggio dato dai comunisti italiani a quelli jugoslavi nella conquista di Trieste, benedetta da Togliatti, e dalla drammatica storia delle foibe, per cui lo stesso Ps ha celebrato, con Alleanza Nazionale, la purificazione della memoria.
In tutta Europa le nazioni sono diventate plurali, le differenze interne allo Stato nazionale sono state riconosciute ovunque dalla Gran Bretagna alla Spagna, dalla Francia alla Germania, il Belgio addirittura sta per spaccarsi in due tra valloni e fiamminghi. In Italia l'unità nazionale è invece rimasta salda, nonostante che la grande crisi del Nord, legata alla fine della Prima Repubblica, abbia creato tensioni interne che la coalizione del centrodestra riuscì ad evitare fin dall'inizio, portando Berlusconi, Bossi e Fini all'interno del medesimo governo.
Se qualcuno agitò il tema regionalista, fu proprio la maggioranza del '96, quando la sinistra disperse tra lo Stato e le Regioni delle competenze che per la Costituzione del '48 erano statali. E che la maggioranza del 2001, con Bossi e Fini, riportarono al testo primitivo. Si era sperimentato che la riforma del titolo V aveva reso il Paese ingovernabile e che le regioni ricorrevano contro ogni legge del governo alla Corte Costituzionale. Ben 400 volte. Se questo non è più accaduto nei giorni di Prodi, ciò è dovuto al legame di partito, non alla solidarietà delle istituzioni. Per accarezzare gli elettori della Lega, la sinistra ha messo in crisi il delicato equilibrio istituzionale tra Stato e regioni. Altro che unità nazionale, altro che Inno di Mameli! È la sinistra che deve sciacquare i panni sporchi in Arno, non l'alleanza del Popolo della libertà. E chi ha sollecitato il federalismo fiscale proponendo alla Lega Nord se non il governo Prodi?
E infine il sacro costituzionale. La prima parte della Costituzione è invecchiata più della seconda parte di essa. Durante il governo Berlusconi la presidenza Ciampi si pose come regola costituzionale: come se il compito del capo dello Stato fosse quello della Corte costituzionale. Con tutte le riserve sull'ideologia politica prevalente nella prima parte della Costituzione, in cui lo statalismo antifascista riproduce in tanta parte quello fascista, i ministri della coalizione di Berlusconi sono stati fedelissimi a una legge fatta apposta per tarpare le ali ai nuovi problemi che sorgevano nella società globale.


Le parole di Veltroni svaniranno con rumore, ma mostrano che l'antico grido «dagli all'untore» è sempre nella memoria della sinistra che ha per istinto storico: controllare e punire.
Gianni Baget Bozzo
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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