Politica

«Controllare gli immigrati? Non è razzismo»

«Un Paese che controlla le frontiere e gli stranieri protegge i suoi cittadini. E fa benissimo a farlo». Petru Cimpoesu ha vissuto il comunismo di Ceausescu, il crollo della dittatura, ha visto il suo Paese barcollare nella confusione degli anni Novanta ed entrare, alla fine, nell’Unione europea. «È stato quasi un regalo» dice lo scrittore, responsabile anche del dipartimento cultura di Bacau. Il suo romanzo Il santo nell’ascensore è stato un caso letterario in Romania, miglior libro dell’anno nella Repubblica ceca e finalista al premio Strega europeo. Ora arriva anche in Italia, pubblicato da Castelvecchi. Racconta la società romena della «transizione», quegli anni post Ceausescu in cui «vivevamo sotto il segno di un ottimismo disperato». Con risvolti un po’ comici, un po’ grotteschi, perché «avevamo aspettato così tanto la libertà e poi, una volta ottenuta, non sapevamo che cosa farcene, così vulnerabili e impreparati a tutto». Poi è arrivato il «regalo» dell’Unione europea e le «migrazioni in massa della povera gente»: «Per la Romania ci sono stati sicuramente effetti positivi, come un minor tasso di disoccupazione e maggiori riserve in valuta straniera; ma, per i Paesi di destinazione, le conseguenze sono state opinabili. Come nel caso dell’Italia».
Nel nostro Paese c’è un dibattito sulla criminalità straniera, anche romena. Che idea se n’è fatto?
«So che in Italia si discute molto di questo. Per esempio il caso del mio connazionale Mailat ha provocato orrore e disgusto. Se n’è parlato a lungo anche in Romania. Il problema è che un criminale così avrebbe potuto compiere quel delitto ovunque. Ed è per questo che esistono la polizia e la giustizia, è anche per questo che paghiamo le tasse: perché gli individui violenti, che non meritano di essere chiamati “cittadini”, non possano danneggiarci».
Quando l’Italia ha invocato più rigore è stata subito contestata...
«Appena le autorità italiane sono diventate più rigorose nel controllare gli ambienti degli immigrati a rischio criminalità, i burocrati a Bruxelles sono subito saltati in piedi: “diritti umani violati”. Si capisce quanto sia sbagliata una concezione dei diritti umani secondo cui alcuni hanno solo diritti, e nessun dovere... ».
E come dovrebbero essere concepiti?
«Io preferisco parlare di diritti dei cittadini, che derivano dalla loro condizione di cittadinanza. La quale, a sua volta, è legata al rispetto delle clausole del contratto sociale. Nel momento in cui le violi, ti poni al di fuori della società, che non ha più debiti nei tuoi confronti».
Da romeno, non pensa che certe misure siano troppo dure?
«In realtà, la maggior parte dell’opinione pubblica romena era d’accordo con le misure per controllare ed eventualmente prendere le impronte ai rom».
Nessuna discriminazione?
«No. Se io arrivassi in Italia e mi chiedessero le impronte digitali non la considererei un’offesa o, tanto meno, un insulto a tutti i romeni. Anzi. Sarebbe soltanto la prova che le autorità italiane si preoccupano per la sicurezza dei loro cittadini e anche degli stranieri».
Vorrebbe regole più rigide?
«Ci sono persone che si sentono offese anche solo dalla presenza della polizia nei luoghi pubblici. Io no: gli agenti mi fanno sentire protetto».
È vero che alcuni non tornano nei Paesi d’origine, Romania inclusa, perché il trattamento in prigione sarebbe peggiore?
«Mi sembra sorprendente. Che ragionamento... I criminali non possono mica chiedere dei privilegi.

Che cosa vogliono, che le prigioni romene o di altri Paesi siano dotate di tutti i comfort?».

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