La Coop vendeva «Lacoste» false: condannata al risarcimento

Il coccodrillo era un po’spostato, le taglie non proprio perfette, mancava la confezione e poi, toccando il tessuto, si avvertiva una leggera differenza di peso. Ma la gente si fida della Coop. Anzi, dell’Ipercoop. E così le magliette con la targhetta della «Lacoste» in bella vista andavano a ruba. Anche perché erano un affarone. Il centro commerciale di Collestrada, a piedi di Perugia, le vendeva nientemeno che a sottocosto: 49 euro rispetto ai 69,50 del prezzo ufficiale. «Originali» e a prezzo basso. Non si poteva sperare di meglio. Ma i clienti si sono illusi che fosse davvero così. In realtà, anche «la coopseituuu» può vendere tarocchi. Falsi grossolani che hanno inguaiato i responsabili del centro commerciale perugino costretti a risarcire la famosa griffe francese: circa 12mila euro per il danno economico e 20 mila euro per il «danno da sviamento di clientela, discredito commerciale, deprezzamento del marchio». Un bel trentamila euro che vanno a sommarsi al danno all’immagine del colosso dei supermercati forti soprattutto nel Centro Italia.
Ma torniamo al fattaccio. Scoppiato nel maggio 2002 quando il responsabile degli acquisti dell’Ipercoop compera fuori dai canali ufficiali uno stock di magliette Lacoste per reclamizzarle sui volantini. Uno specchietto per le allodole, si dice in gergo. E le allodole, cioè i clienti, abboccano. Ma i negozianti della zona sono infastiditi dalla cosa e la svendita arriva alle orecchie degli ispettori della Lacoste che vanno ad acquistare un capo nell’Ipercoop di Perugia. Se la portano a Parigi e la sezionano. Il responso è inequivocabile: è un falso. Scatta la denuncia presso il tribunale civile di Perugia. L’azienda francese viene rappresentata dagli avvocati del Foro di Milano Giovanni Iazzarelli e Giorgio Valli.

Si attiva una nuova consulenza tecnica, questa volta disposta dal giudice civile che alla fine rileva la non autenticità del prodotto, con differenze riguardo al «titolo del filato, all'intreccio del tessuto, alle cuciture, alla grandezza e alla posizione del logo». Tutti elementi che portano il giudice a riconoscere la condotta illecita della Coop e ad accogliere le istanze della Lacoste sulla repressione della concorrenza sleale e la tutela del marchio.

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