Coppola tenta il suicidio, salvato

L’immobiliarista era ai domiciliari: ha ingerito un cocktail di ansiolitici. I legali: «È depresso»

Lexotan è un ansiolitico a base di bromazepan. Nelle giuste dosi serve a tenere sotto controllo quel po’ di angoscia che molti si portano addosso. Ma un intero flacone di Lexotan, inghiottito in un colpo solo e mischiato a un cocktail imprecisato di altre pasticche, può spedire al Creatore. Ieri pomeriggio l’immobiliarista Danilo Coppola, ai domiciliari nella sua casa romana, lo hanno afferrato letteralmente per i capelli. Ambulanza, ospedale, lavanda gastrica. Alle 9 di ieri sera Vittorio Emanuele Falsitta, il commercialista che lo assiste, può dire «È fuori pericolo» con il tono di chi ha visto la tragedia a un passo.
Mancava solo questo, per trasformare l’odissea giudiziaria di uno dei giovani leoni del mattone italiano – i quattro self made man che sembrava dovessero cambiare volto alle città italiane, Coppola, Ricucci, Zunino e Statuto – in un dramma a fosche tinte. Che l’inchiesta della Procura di Roma per bancarotta fraudolenta avesse minato pesantemente dopo l’equilibrio finanziario di Coppola anche l’equilibrio interiore lo si era capito già in dicembre, quando era evaso dagli arresti domiciliari per andare a farsi intervistare da Sky. Un altro detenuto, al posto suo, sarebbe stato richiuso in carcere. Ma, almeno in quell’occasione, il tribunale fu comprensivo, e si convinse di essere davanti a un uomo in crisi più che a un pericoloso fuggiasco. Così Coppola rimase ai domiciliari, e il processo andò avanti. Ed è in quel processo, nella «totale sordità» (parole di Falsitta) dei giudici alle sue ragioni che sta una delle spiegazioni della sua crisi sempre più acuta. Culminata nella boccetta di Lexotan, la strada più veloce per girare pagina. Tutte le pagine, di colpo. Chiudere il libro.
Qualche segnale, in realtà, era già arrivato. Il 29 maggio, alla nuova udienza del processo per bancarotta fraudolenta, era venuto a testimoniare in aula Falsitta. Il commercialista di Coppola aveva spiegato ai giudici come l’imputato starebbe cercando di risarcire il fisco del gigantesco «buco» di cui è accusata la Micop, la cassaforte dei suoi affari andata a gambe all’aria per i suoi debiti con l’erario. Falsitta aveva anche spiegato come Coppola ormai sia un ex immobiliarista, un ex imprenditore che si sta liberando di tutte le sue proprietà, e quindi non potrebbe tornare a delinquere. Al termine dell’udienza, i difensori di Coppola – Gaetano Pecorella e Michele Gentiloni – avevano presentato una nuova istanza di liberazione. L’ennesima: appena due settimane prima, si erano sentiti dire di no. «Se ci diranno ancora di no potremmo fare un gesto clamoroso», avevano detto, e probabilmente alludevano alla rinuncia al mandato. Ma il loro assistito li ha anticipati.
Per un uomo comune è forse difficile da capire come arresti domiciliari confortevoli come quelli di Coppola possano risultare tanto insopportabili. Ma i pochi che hanno parlato con Coppola di recente dicono che a segnarlo così sia la rabbia, l’impotenza. Davanti ai suoi giudici, certo.

Ma ancora di più di fronte a quelli che non lo hanno mai amato e ora si preparano a divorare il suo impero. Un esercito che, dicono i difensori «stringe i tempi per strappare a Coppola, esausto e malato, Porta Vittoria e il Lingotto a metà del loro valore».

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