Il coraggio di Fini sui «fatti gravissimi»

Facevo l’inviato de L’Unità in America latina e quel giorno del 1985 ero veramente arrabbiata perché, avendo scoperto sacche di schiavitù, e centinaia di morti ammazzati, nel nord latifondista del Brasile, la risposta dell’allora vice direttore fu di malcelato disinteresse. Alla mia provocazione «ma allora contano di più tre morti nel Cile solo per dar contro a Pinochet», rispose serafico «Certo che sì», convinto di avermi dato una lezione di giornalismo. Quel giorno capii in una sola volta, forse ero stata tonta prima, la manipolazione politica delle notizie e la maledizione del politically correct. Mi venne voglia di scappare e lo faccio ancora, dopo più di vent’anni. Questa oziosa premessa serve solo come pretesto per consigli non richiesti al neopresidente della Camera, Gianfranco Fini. Non si faccia intimidire dall’assalto dell’opposizione senza idee e argomenti, tutti di nuovo insieme ed eguali nello sdegno, per un «più» che venga giudicato di troppo, non si rifugi anche lei nel «ma anche», che tutto livella e mette sullo stesso piano. Il più grave e il meno grave esistono e si usano per dimostrare personalità sicura e visione chiara, rispetto della storia e coraggio delle leggi.
A Verona il branco che ha colpito ancora una volta fa parte del disagio giovanile, della violenza adolescenziale che cerca uno sbocco, del rituale barbaro consentito intorno al business del calcio, ogni volta esecrato, ogni volta non affrontato fino in fondo, nel quale il gruppo deve essere estremista di una qualunque parte, e che voglia dire nemmeno lo sa. Si possono scrivere molte banali cose di buon senso a proposito: che prima c’era la guerra, adesso non c’è più neanche la naia, che la nostra generazione, ma anche quella prima e quella dopo, almeno ha goffamente provato la sua rivoluzione, quella di oggi si deve occupare di mettere qualcosa di eccitante su Youtube e fare foto col cellulare al culo un po' stranamente in mostra della professoressa, che dire di buona famiglia non significa di famiglia attenta e adeguata alle turbe dei figli, che i ragazzi si sentono dire da quando hanno l’età della ragione che per questo Paese non c’è futuro, figurarsi per loro. Si può concludere che l’assassino di Verona e i suoi compari erano schedati, quasi tutti espulsi dagli stadi, che forse non dovevano essere a piede libero. Insomma, certezza e adeguatezza delle misure di prevenzione e di repressione aiutano a salvare giovani vite, se uno Stato se ne fa carico. Il centrodestra ha vinto le elezioni sulla spinta di queste richieste, veda di fare qualcosa.
A Torino la polemica iniziata assai prima dell’apertura della ventunesima Fiera del libro si fonda sulla negazione arbitraria, terroristica, ma mai abbastanza repressa e condannata nel nostro Paese, del diritto di ospitare Israele nel sessantesimo anno della fondazione dello Stato, nelle persone dei suoi scrittori più illustri. Si basa sulla violenta negazione del diritto di Israele a esistere, non, come pure si finge di credere, sulla rivendicazione del diritto di critica a determinati comportamenti di Israele. C’è il popolo delle vittime, i palestinesi, c’è il popolo del carnefici, ovvero gli israeliani. È lo stesso doppio standard che si applica alla destra e alla sinistra, alla satira su Maometto e a quella su Gesù Cristo. Il professor Gianni Vattimo è un antisemita, come il tanto venerato professor Tariq Ramadan, che si è permesso di rampognare Giorgio Napolitano perché andrà a Torino, è un Fratello Musulmano.

L’area della città intorno alla Fiera del libro è blindata, centri sociali, movimenti estremisti comunisti e i soliti radical chic promettono di protestare. Si può fare così una grande manifestazione culturale? È grave, presidente Fini, più grave di molte vicende gravissime che pure accadono in questi giorni.

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