Via Corelli, tensione al processo

«Troppo comodo fare così. Perché devo uscire? È troppo bello fare così, il processo a porte chiuse. Per farsi gli affari loro, testimoni non ne vogliono». Così una donna, presente fra il pubblico, protesta contro la decisione del giudice Luigi Martino di far uscire dall’aula alcune persone che hanno provocato un testimone, l’ispettore di polizia Romano Pini.
Non è un processo facile quello contro i 21 immigrati che nella notte fra il 23 e il 24 maggio scorsi danneggiarono il Centro temporaneo di accoglienza di via Corelli. Un uomo scoppia a ridere, mentre l’ispettore Romano Pini racconta l’episodio di autolesionismo di cui era stato protagonista disperato un tunisino ventiduenne: Ben Abdelhamid che nel corso della rivolta aveva ingoiato due lamette da barba. Il poliziotto s’interrompe e si rivolge all’uomo: «Perché ridi?». Lui replica: «Se posso rispondo subito». Il giudice decide di espellerlo dall’aula, il pubblico rumoreggia, si alzano voci di protesta. Interruzione. Poi il dibattimento riprende, l’ispettore continua il racconto di quella notte: «Gli immigrati sono saliti sul tetto, hanno staccato le sbarrette di polistirolo della controsoffittatura per poi dare fuoco». Non solo: «Gli stranieri all’interno hanno fatto un buco nel muro, divelto lavandini e sradicato un termosifone, quindi sono stati identificati dagli operatori della Croce rossa».
In aula sono presenti molti imputati: nove sono in manette, alcuni sono liberi. Ad ascoltare anche numerosi esponenti del Comitato d’appoggio, fra i quali Piero Maestri, consigliere provinciale di Rifondazione comunista, e Fabio Parenti del Naga. Cinque immigrati sono già stati condannati il 31 maggio con i riti alternativi a pene che vanno da 6 a 8 mesi. Uno dei sedici imputati ancora sotto processo è stato espulso dalla questura, passati i 60 giorni previsti dalla legge per questo tipo di procedura: è il nigeriano Unigwe Geoffrey. Il giudice Luigi Martino ha spiegato di essere obbligato a concedere il nulla osta perché la Bossi-Fini vieta l’espulsione solo nei casi in cui l’imputato debba rispondere di reati gravissimi. Ma il danneggiamento aggravato, non rientra in questo catalogo. Geoffrey ha solo trent’anni ma ha un curriculum movimentato: sottufficiale dell’esercito nigeriano, è in Italia dal 2000 ed ha già scontato una condanna per stupefacenti, prima di finire nel centro di via Corelli.
Protesta il difensore, Alfredo Partexano: «Il mio cliente non potrà essere presente al processo che lo riguarda».

Ma dovrà rassegnarsi, suo malgrado, a rientrare in Nigeria. Il dibattimento riprenderà il 28 giugno, quando saranno sentiti alcuni testimoni. I difensori degli imputati detenuti hanno chiesto la scarcerazione dei loro assistiti.

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