Corioni si arrende: «Brescia troppo grande e io troppo piccolo»

Ha detto: «Basta, sono stanco, la mia storia col Brescia è finita». Gino Corioni, da vent’anni presidente delle rondinelle bresciane, ha alzato bandiera bianca e stanco, deluso per il sempre più vicino ritorno dei lombardi in B, ha deciso di passare la mano. Non è lo sfogo del momento, ma una decisione ponderata da un bel pezzo e mentre in altre occasioni aveva ventilato l’idea di andarsene per dare una scossa all’ambiente bresciano (soprattutto quello imprenditoriale), questa volta è fin troppo sicuro e determinato. Ma anche tanto amareggiato. «Gli industriali bresciani mi avevano fatto a lungo la corte: vieni via da Bologna, tu sei un bresciano, che ci fai in una città che non è la tua, continuavano a dirmi», la triste constatazione di Corioni. «E così nel gennaio 1992 lasciai la presidenza del Bologna e presi il Brescia. Ma in tutti questi anni chi ha mai visto gli industriali bresciani darmi una mano, anche quando mi sono trovato in difficoltà? Tante belle parole, e poi assenza totale. Ma ora basta, ci pensino loro a portare avanti il Brescia».
Un Corioni duro, deciso, anche cattivo che però, quando parla del «suo» Brescia gli si inumidiscono gli occhi nel ricordare i tanti risultati delle rondinelle, sempre su e giù tra Serie A e B, il settimo posto del 2001 come miglior risultato con Roby Baggio, ma anche la vittoria nell’Anglo-Italiano del 1994, la finale Intertoto persa col Paris Sain-Germain dopo due pareggi e i tanti grandi che l’hanno accompagnato nel cammino: Maifredi, Lucescu, Reja, i quattro meravigliosi anni del Divin Codino, Zeman, Cosmi, Pirlo, Guardiola, Toni e tanti altri campioni. Si guarda indietro Corioni che un paio d’anni fa ha vinto la battaglia più vera e importante, quella della vita, sconfiggendo il «male del secolo», ma ritrovandosi anche con un simpatico «professione presidente» che l’ha sempre accompagnato.
Perché il vulcanico Corioni, uno che non ha mai avuto peli sulla lingua, è entrato presto nel calcio quando negli anni Settanta diventa presidente dell’Ospitaletto portandolo in serie C, poi come consigliere del Milan arrivando anche vicino alla presidenza alla fine dell’era Farina, finchè nel 1985 al vertice del Bologna conquista la promozione in serie A e porta la squadra insieme a Maifredi in coppa Uefa. Poi dal 1992 il Brescia, il grande amore. «Non sono Moratti, Agnelli o Della Valle, sono arrivato al capolinea, sia che la squadra si salvi sia che retroceda in B. Ho sempre voluto farmi da parte, adesso è diverso: devo farlo. Brescia è diventata troppo grande per un presidente così piccolo. Ed è il momento che i bresciani e le istituzioni si facciano avanti.

Non darò le chiavi della società al sindaco Paroli (che si è subito attivato con altri imprenditori e una cordata milanese, ndr), dico solo che non posso più andare avanti. Però credo ancora nella salvezza e dico che sabato possiamo battere il Milan».

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