Corrida, un rito antico fra letteratura e cinema

La forza cieca della natura contro l’astuzia dell’uomo, la "metis" greca che fu attributo di Ulisse. C’è questo e molto altro dietro al fascino esercitato dalla corrida e, prima ancora, dalle antiche tauromachie, dalle lotte tra gladiatori e fiere, fino ad arrivare alle tradizioni rimaste vive in Spagna della corsa dei Tori a Pamplona e San Firmin

Corrida, un rito antico fra letteratura e cinema

Roma - La forza cieca della natura contro l’astuzia dell’uomo, la "metis" greca che fu attributo di Ulisse. C’è questo e molto altro dietro al fascino esercitato dalla corrida e, prima ancora, dalle antiche tauromachie, dalle lotte tra gladiatori e fiere, fino ad arrivare alle tradizioni rimaste vive in Spagna della corsa dei Tori a Pamplona e San Firmin.

Nella storia della letteratura, si trovano decine di autori conquistati da questo tema. Il primo nome che viene in mente è quello di Ernest Hemingway che scrisse nel 1938 "Morte nel pomeriggio". Il libro, lungi dall’essere un trattato scientifico sullo spettacolo offerto da questa tauromachia, è un’analisi profonda sul senso della vita e della morte e sull’arte. L’uccisione del toro diventa così una manifestazione del sublime, una fuggevole pennellata elargita alla folla dal torero, non già mattatore vile e brutale, ma rappresentante ultimo dei valori dell’onore e della virtù, esemplificati dai gesti e dal rituale con i quali egli sfida la morte accostandosi ad essa e ne emerge vincitore, acquistando una vera e propria immortalità. Sempre di Hemingway è "Fiesta", romanzo in cui la Plaza de Toros fa da sfondo alle avventure di un americano espatriato.

Passando al cinema e alla più recente delle pellicole nelle sale, "Manolete" è il riuscito omaggio da parte del regista Menno Meyies al celeberrimo mito della corrida spagnola. Interpretato da Adrien Brody, narra la vera storia di Manuel Rodriguez Sanchez e della sua triste fine, il 28 agosto del 1947, per un colpo di corna all’inguine. Con lui scompare l’amore appassionato per l’attrice Lupe Sino (Penelope Cruz nel film), un dettaglio in una storia fatta di grandi luci, quelle della corrida, e dei suoi calorosi applausi di pubblico.

La pellicola più celebre è però "Sangue e Arena", drammone passionale che ebbe un grandissimo successo al botteghino, basato sul romanzo del 1909 "Sangre y Arena" di Vicente Blasco Ibanez. Il successo dell’idea è sancito da ben due remake all’originale del 1922, interpretato da Rodolfo Valentino. Il primo, con Tyrone Power, Linda Darnell e Rita Hayworth è del 1941. Il secondo, del 1988, è una produzione spagnola che, segno dei tempi, fu snobbato da pubblico e critica.

Ma se è il coraggio il requisito fondamentale per scendere nella Plaza de Toros, non stupisce che la corrida abbia fornito più di uno spunto per innescare i meccanismi della commedia. Se il torero è infatti elegante e coraggioso per antonomasia, cosa accade se nell’arena scendono personaggi goffi e irrimediabilmente codardi? "Cinque matti alla corrida" commedia francese di Jean Girault.

Il più celebre del genere in Italia è però "Fifa e arena", film di Mario Mattoli con Totò che interpreta Nicolino, scambiato per un pazzo criminale e costretto a fuggire da Napoli a Siviglia dove il bandito Cast vuole fargli sposare la ricca americana Patricia per poi eliminarla e impadronirsi dell’eredità. Nicolino (ora Nicolete) per caso viene a trovarsi in un’arena e grazie alle sue astuzie ha la meglio sugli altri toreri che lo diffidano dal toreare.

 

 

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