«Corriere» pessimista: non crede più a nulla

Aiuto, ci si è depresso il Corrierone. Non so se è il risultato del caos tra i soci, non so se è frutto delle beghe in redazione: quello che è certo è che tra le pagine del quotidiano si respira un’aria ferale, un nichilismo avvilito, un cupio dissolvi che al confronto il 2 novembre al cimitero maggiore è una grande festa nazionale. Solo per restare agli ultimi due giorni, e solo per restare ai commenti di prima pagina, abbiamo scoperto che: a) Berlusconi fa schifo e le opposizioni peggio, dunque l’unica cosa che si può sperare è abrogare qualche leggina e poi sfasciare tutto (editoriale di Giovanni Sartori); b) bisogna arrendersi perché il bipolarismo non funziona, lo dice anche uno dei suoi grandi sostenitori come Michele Salvati; c) dobbiamo rassegnarsi alla «rozzezza» e alla «superficialità di pensiero» che generano un «linguaggio patologico» (dotta dissertazione di Giorgio Fidel); d) e comunque le riforme sono e saranno sempre impossibili e dunque ogni governo presente e futuro deve limitarsi a governare mestamente «la contingenza» (editoriale di Giuseppe De Rita). Allegria, avrebbe detto il grande Mike: avanti di questo passo e domani, per celebrare degnamente la domenica, rischiamo di leggere la riflessione finale del direttore dall’invitante titolo «Suicidiamoci».
Ma che sta succedendo nelle austere stanze di via Solferino? Per carità, i tempi non sono facili e un po’ di angoscia è normale. Ma, insomma, quello dovrebbe essere il giornale della borghesia illuminata, non della borghesia oscurata; dovrebbe lasciar trasparire anche nei momenti più cupi un briciolo di ottimismo operoso, quel pragmatismo dell’imprenditoria lombarda che non si è mai lasciata sopraffare dalla disperazione e che, anche nelle situazioni più difficili, non ha mai smesso di guardare con fiducia al futuro. A che futuro guardano gli editorialisti del Corriere? A un futuro di piccole abrogazioni? E di «gestione della contingenza»? È tutto qui il respiro ideale della borghesia illuminata? Uno osserva, legge e poi gli viene voglia, per tirarsi un po’ su, di andare a cercare la pagina dei necrologi. C’è più vita lì che nei cervelli di certi intellettuali rassegnati al nulla.
Qualche segnale di nichilismo imperante si era già avuto, per la verità. Memorabile fu il celebre editoriale qualunquista di Ernesto Galli della Loggia, quello che descriveva il Paese più o meno con i toni della sciura Peppina quando va a comprare i peperoni al mercato («Signora mia, che brutti tempi. Una volta costava tutto di meno, c’erano le mezze stagioni e anche il sole era più caldo»). Poi i ragazzi di via Solferino hanno recuperato qualche briciolo di vitale entusiasmo appoggiando in modo sconsiderato l’avventura di Fini. Ma poveretti, sono pure un po’ sfigati, scelgono sempre il cavallo sbagliato. E così, come era già successo qualche anno fa con l’endorsement a favore di Prodi, sono andati a schiantarsi con il loro idolo elisabetto sul voto del Parlamento e come lui ne hanno ricavato ulteriori e profonde ragioni di depressione. Cercavano il terzo polo, al massimo sono arrivati al terzo molo. Con la voglia di buttarsi in acqua, e con una pietra al collo per di più.
Pensare che, per quanto il periodo sia difficile, i segnali di speranza non mancano, come dimostrano i dati Istat che proprio oggi rivelano la ripresa della nostra industria. Eppure lì, in via Solferino, in quello che dovrebbe essere il tempio sacro della positività degli industriali, la culla dell’ottimismo imprenditoriale, non ce la fanno proprio a riprendersi. A differenza delle aziende, restano depressi e riempiono le loro prima pagine con tasse crescenti, bipolarismi cascanti, vigili corrotti; e se poi proprio vogliono alleggerire, dedicano un titolo a Steve Jobs (che sta molto male) o a Spartacus (che sta morendo). Allegria un’altra volta: Repubblica da tempo si fa notare per le sue prime pagine ansiogene, il Corriere ribatte con prime pagine depresse. Non si trova un filo di speranza, non un’idea per il futuro. Il giornale che fu illuminato è ormai spento come una lampadina rotta. E la confusione che regna nella stanza dei bottoni fra Della Valle, Geronzi, Bazoli etc di certo non aiuta.

Staranno giocando al «tanto peggio, tanto meglio» nell’attesa del Montezemolo salvatore? O davvero sono stati colti da un’insana voglia di suicidio? Nel dubbio, qualcuno porti subito un camion di Prozac in via Solferino.

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