«Corro per onorare la memoria di Sauro»

Paolo: «Volevo smettere, mi ha fatto cambiare idea mia cognata. Le gambe ci sono, la testa lo scoprirò»

Pier Augusto Stagi

È come ripartire, per un nuovo viaggio, senza l’amico più caro: suo fratello. È come ricominciare, da capo, senza l’incoraggiamento prezioso e contagioso del primo tifoso per eccellenza, Sauro. «Ho pensato di smettere col ciclismo: per sempre. Se sono qui è perché Tommasina, la moglie di Sauro, e i miei genitori mi hanno rimesso letteralmente in sella», confessa l’iridato nell’incontro della vigilia con la stampa, a Mendrisio.
Così il Lombardia diventa un impegno, in tutti i sensi.
«Se sono qui è per onorare la maglia che indosso e la memoria di Sauro — racconta Bettini, con il volto di chi vorrebbe forse essere da un’altra parte, ma sa che è troppo importante esserci —. Dopo la sua morte, ero in macchina con Giuliano e Giuliana, i miei genitori, c’era anche Tommasina e mia moglie Monica, il morale era quello che era e ho detto: “per me è finita qui”. Subito l’hanno presa come una battuta, ma mia moglie l’ha capita e ne ha parlato con mia cognata. È stata lei a dirmi che Sauro teneva al ciclismo e alle mie vittorie, è stata lei a chiedermi di correre per lui. E così ha voluto mio papà, che a Salisburgo sul traguardo mi aveva detto che, avendo tutto, avrei potuto anche smettere. Come gli ho dato retta agli inizi della mia carriera, lo ascolto adesso che mi ha dato un motivo in più per andare avanti».
Bettini parla con calma, la voce è ferma, la maglia iridata non è sulle sue spalle, ma appoggiata e in bella mostra sul tavolo. Questa mattina, sia la maglia di campione del mondo che quella di Coppa, raggiungeranno il Museo del ciclismo, che Fiorenzo Magni e la Regione Lombardia hanno fortemente voluto al Ghisallo e che aprirà quest’oggi ufficialmente. Ma per il Betto, così lo chiamano affettuosamente in gruppo, oggi c’è la corsa che un anno fa fu sua: il Lombardia.
«Dopo quello che è successo, non so cosa riuscirò a fare: questa settimana l’ho vissuta un po’ meglio, le gambe sicuramente ci sono, ma bisognerà vedere quello che dirà la testa. Se sono qui, comunque, è per onorare la maglia che indosso e la memoria di mio fratello Sauro».
Il campione del mondo insiste, sull’importanza della testa in una gara come quella di domani. «Sabato al Giro dell’Emilia, per esempio, le gambe c’erano, ma la testa era altrove, non mi sono reso nemmeno conto se ho fatto fatica oppure no. Il giorno dopo, nel Beghelli, le cose sono andate un po’ meglio, ma se mi chiedete cosa facevo là davanti, nemmeno io lo so».
E gli avversari nel Lombardia?
«Da quattro anni almeno non guardo una lista di partenza, alla vigilia di una corsa: i nomi li sapete tutti, sono quelli di sempre».
Cosa pensa della vicenda di Basso?
«Gli auguro tutto il bene possibile, perché è un amico, ma non entro nel merito della vicenda. O meglio, per adesso ci hanno rimesso i corridori. Nessuno restituirà loro questi mesi di inattività, ma è anche vero che è difficile credere che questa cosa sia nata dal nulla, si siano inventato tutto. Qualcuno da Fuentes ci sarà pure andato, o no?».
I vertici federali, il presidente della Fci Renato Di Rocco e il presidente del Ccp Alcide Cerato, hanno incontrato il numero uno dell’Uci Pat McQuaid per proporgli di istituire un piccolo simbolo da mettere sulle maglie di coloro che hanno aiutato Bettini a vincere il titolo.


Le piace l’idea?
«Mi sembra ottima perché, se è vero che il ciclismo è uno sport individuale, altrettanto vero è il fatto che senza compagni non si va da nessuna parte. A Salisburgo mi sono inventato quel guizzo finale, ma ho potuto farlo perché i miei compagni mi avevano consentito, con il loro lavoro, di trovarmi in quel punto al momento giusto».

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