Controcultura

Alla corte di Marfisa sono di casa tutte le arti

Nella sua cerchia si suonava, Tasso le dedicava sonetti e il pittore Filippo Paladini la ritrasse

Alla corte di Marfisa sono di casa tutte le arti

Quando il duca di Ferrara, Cesare, il 28 gennaio 1598, in una giornata fredda e triste, velata di nebbia e di malinconia, si trasferì a Modena con la duchessa e «la figliuola dentro una lettiga ammalata», in tre carrozze e sei cavalli, con le damigelle e gentiluomini particolari, azzimati e ambiziosi, ma ora molto disturbati, non tutti i d'Este si allontanarono da Ferrara: Marfisa, figlia di Francesco, si fermò spavaldamente anche dopo la devoluzione dello Stato Estense, forse perché il marito, il marchese Alderano Cybo-Malaspina, di Massa Carrara, aveva uno stretto legame con Papa Clemente VIII. Marfisa non ebbe problemi a rimanere, come se nulla fosse mutato, nella sua palazzina di Ferrara e nella delizia di Medelana. Le fonti, e per primo Torquato Tasso, ne descrivono il forte carattere, estroversa, anticonvenzionale, ebbra: «Questa leggiadra e gloriosa Donna,/ di nome altero e di pensier non crudo,/ non ha per arme già lancia né scudo,/ ma trionfa e combatte in treccia e 'n gonna./ E imperiosa d'ogni cor s'indonna,/ con la man bella e col bel capo ignudo,/ del caro velo, onde fra me conchiudo,/ ch'ella sia di valor salda colonna».

Torquato Tasso fu più volte in contatto con lei: della sua considerazione nei confronti di Marfisa si hanno diverse testimonianze. Nel giugno del 1581 fu lei a far visita al Tasso che si trovava, turbato, a Sant'Anna; mentre in occasione della gravidanza e della nascita del primo figlio di Marfisa, Carlo Cybo-Malaspina, il Tasso le indirizzò alcuni sonetti: «Visiti il tempio a passi tardi e lenti», «Donna, al pudico tuo grembo fecondo», «Già bella e lieta sposa, or lieta e bella», e «Cresci qual pianta di fecondo seme». Nella stessa occasione, un altro sonetto fu mandato dal Tasso per conto di lei «a messer Bastiano dipintore eccellente», e cioè a Sebastiano Filippi di Ferrara, pittore di sensibilità affine al poeta, come avrebbe osservato Francesco Arcangeli. Nell'agosto del 1583 Marfisa organizzò una gita a Medelana, alla quale partecipò anche il Tasso, insieme con Tarquinia Molza, Ginevra Marzi ed altri dignitari della corte ferrarese. Durante il soggiorno a Medelana il pittore Filippo Paladini aveva dipinto il ritratto di Marfisa che diede al Tasso ispirazione per alcuni versi, pubblicati un mese dopo la gita con il titolo Sonetti del signor Torquato Tasso sopra un ritratto dell'illustrissima et eccellentissima signora donna Marfisa d'Este Cybo marchesa di Massa. Nello stesso spirito è il dialogo di Tasso La Molza overo de l'amore, ancora dedicato a Marfisa e pubblicato nel 1586. Varie sono le rime che il Tasso, in diverse occasioni, le dedicò; fra queste: «Due donne in un dì vidi illustri e rare», per Marfisa e Lucrezia d'Este, «Portano l'altre il velo», «Ha gigli e rose e bei rubini ed oro», «La natura v'armò bella guerriera», «Guerra il bel nome indice abbaglia il lampo», «Queste note Marfisa».

La poesia e la musica erano esaltazione e consolazione per una donna sensibile e coltivata, in un dialogo con gli artisti non pubblico ma intimo, riservato, senza clamore, come condizione di meditazione interiore, senza fasti, negli spazi della palazzina costruita dal padre Francesco per lei, per la sua protezione e perfezione spirituale. Nessun dubbio che, tra i piaceri sofisticati di Marfisa, dovesse esserci una solitaria predilezione per il silenzio e per i grandi giardini come quello della sua riparata dimora dove era stato costruito il grande e arioso loggiato degli aranci. Si tratta di un ampio porticato ad archi, dal soffitto completamente affrescato, con un pergolato. Lateralmente si trovano due sale: una chiusa, probabilmente un magazzino, mentre l'altra è aperta sul loggiato. Anche in questo ambiente il soffitto ligneo è sontuosamente decorato.

Durante l'estate la palazzina di Marfisa diventava un luogo di incontri, e il loggiato si trasformava in teatro o stanza da musica per il piacere della marchesa, amica colta delle arti. Tornano alla mente i versi di Gabriele d'Annunzio sullo spirito imparagonabile della «città del silenzio», rievocando anche il Tasso che aveva particolarmente lusingato Marfisa, regina di orgoglio e solitudine: «O deserta bellezza di Ferrara,/ ti loderò come si loda il volto/ di colei che sul nostro cuor s'inclina/ per aver pace di sue felicità lontane;/ e loderò la chiara/ sfera d'aere e d'acque/ ove si chiude la tua melanconia divina/ musicalmente/ E loderò quella che più mi piacque/ più delle altre/ delle donne morte/ e il tenue riso ond'ella mi delude/ e l'alta immagine ond'io mi consolo/ nella mia mente/ Loderò i tuoi chiostri ove tacque/ l'uman dolore avvolto nelle lane/ placide e cantò l'usignolo/ ebro furente/ Loderò le tue vie piane,/ grandi come fiumane,/ che conducono all'infinito, chi va solo/ col suo pensiero ardente,/ e quel lor silenzio ove stanno in ascolto/ tutte le porte/ se il fabro occulto batta su l'incude,/ e il sogno di voluttà che sta sepolto/ sotto le pietre nude con la tua sorte».

Certo d'Annunzio avrà pensato a Marfisa, nella sua insolita scelta. In questa pausa di dieci anni, dal 1598 alla morte, nel 1608, Marfisa ha vissuto in una città fantasma su cui era calata, con l'arrivo dei cardinali legati, una diversa nebbia. In quel tramonto, l'unico piacere era sentirsi altrove, fuori del mondo. Stare come in clausura le attribuiva una inattesa, quasi mistica spiritualità. Null'altro che la contemplazione interiore era possibile, in quel tempo fermo, a Ferrara, città lentamente inghiottita dalla penitenza dopo gli incontinenti fasti della corte estense.

Con la morte di Marfisa una serie di circostanze e pettegolezzi contribuirono a creare intorno alla sua figura una sorta di leggenda, fondata su dipinti e testi letterari, in una interpretazione romanzesca. Il fantasma di Marfisa, secondo fonti fantasiose e creative, usciva a notte alta dalla palazzina, su un cocchio tirato da alcuni cavalli, trascinando per le strade della città una schiera di morti amanti. I motivi per cui nacque questa leggenda sono certo nella bellezza e nella originalità capricciosa della donna, di cui rimangono equivoche testimonianze coeve, soprattutto dopo la morte del primo marito, Alfonsino d'Este, per cause non perfettamente chiarite. Anche così si spiega la scelta di solitudine degli ultimi anni, l'abbandono del mondo, la conquista di una libertà interiore, dall'altra parte del potere.

Sola e misteriosamente felice.

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