Così Balbo trasvolò da Mazzini al Duce

Il giovane Italo aveva una fascinazione per l'eroe mistico del Risorgimento

Così Balbo trasvolò da Mazzini al Duce

Il 26 giugno 1933 la rivista americana Time dedica la copertina a Italo Balbo. Sta per sbarcare a New York alla guida di una squadriglia aerea composta da 24 velivoli e da 100 uomini. Sono partiti da Orbetello il primo luglio e approdano a New York il 19. È la "Trasvolata atlantica del decennale". Balbo aveva già effettuato una prima impresa atlantica. Ma questa era davvero difficile da portare a compimento. Poteva rivelarsi un fallimento per la "nuova Italia" fascista. Addirittura, mortale per l'ideatore della crociera. Invece si trasforma in un successo clamoroso.

Pochi giorni prima, il 29 giugno al Madison Square Garden di New York, il gigante friulano Primo Carnera (204 centimetri per 122 chili), conquista il titolo di campione del mondo dei pesi massimi, davanti a 35mila spettatori, battendo alla sesta ripresa l'americano di origine lituana Jack Sharkey. Mussolini è entusiasta: "Esprimo a Carnera il mio vivo compiacimento. Tutta l'Italia fascista e sportiva è orgogliosa che una camicia nera sia campione mondiale di pugilato". E Carnera si trova, in compagnia di migliaia di persone, a salutare l'apparizione in cielo del primo aereo italiano. Balbo assiste ad un trionfo senza precedenti. Gli vengono tributati omaggi inverosimili. Dopo il funerale di Rodolfo Valentino nel 1926, scrive un commentatore dell'epoca, un altro italiano, stavolta in un clima festoso, suscita negli americani sconfinata benevolenza, attenzione e ammirazione. Sulla figura di Balbo la ricerca storica nell'ultimo quarantennio (prima, inspiegabilmente, non aveva suscitato alcun interesse) ha prodotto lavori di ottima qualità. Gli studi di Claudio G. Segré, Giorgio Rochat e Giordano Bruno Guerri hanno fissato, ognuno con il proprio stile e finalità, i giusti contorni per comprendere una delle personalità più rilevanti, se non la più rilevante dopo Mussolini, del ventennio fascista.

Altri studiosi si sono concentrati non solo sulla trasvolata del 1933, ma sul complesso delle attività intraprese dal ministro dell'Aeronautica. Folco Quilici, figlio di Nello, direttore del quotidiano ferrarese Corriere padano (di proprietà di Balbo), nel 2004 ha chiarito in maniera definitiva le dinamiche dell'abbattimento avvenuto per fuoco amico dell'aereo sul quale persero la vita Balbo e il padre di Folco a Tobruk nel 1940, sgomberando il campo da fantasiose tesi complottistiche, ombre, sospetti e illazioni di varia natura.

Abbastanza sappiamo del Balbo fascista. Decisamente meno della sua formazione culturale e politica. Ci viene ora in soccorso una preziosa pubblicazione. La tesi di laurea sostenuta da Balbo nel 1920 all'Istituto di scienze sociali Cesare Alfieri di Firenze nel 1920: Il pensiero economico e sociale di Giuseppe Mazzini (Eclettica, pagine 78, euro 13). Il curatore Francesco Carlesi nella introduzione ricostruisce con chiarezza l'approdo del giovane Balbo, repubblicano, al movimento fascista: è un rivoluzionario e un conservatore. Affascinato dalla brillante retorica del sindacalista rivoluzionario Filippo Corridoni e dal forte timbro patriottico di Cesare Battisti. È un vitalista che crede nell'azione. E, per questa ragione, partecipa da volontario, senza esitazione, alla Grande guerra. Finito il conflitto aderisce al fascismo, alla guida, sin troppo attiva e determinata, dello squadrismo romagnolo.

La sua generazione (è nato nel 1896) la violenza l'ha conosciuta nelle trincee o nelle azioni spericolate degli arditi. Il caos del dopoguerra (due anni di violenze rosse a cui fanno seguito due anni di reazione nera) è la logica continuazione. L'Italia sembra non aver pace. Quando Mussolini stipula il "patto di pacificazione" con i socialisti, per mettere fine alle violenze, Balbo è contrario. Guarda a D'Annunzio come nuovo duce del fascismo. Quando Mussolini temporeggia nel dare il via alla "marcia su Roma", ancora una volta Balbo scalpita, e ritiene il Vate la carta giusta da giocare. La rivoluzione non deve essere ammorbidita dalla tattica. Ma quale rivoluzione? Balbo è convinto della necessità di una rivoluzione sociale, che deve però necessariamente sposarsi con la grandezza della Nazione. L'azione è importante: il pensiero non lo è da meno. Del resto, gli albori della "nuova Italia" vanno rintracciati soprattutto negli insegnamenti di Mazzini, e trovano una logica e conclusiva saldatura culturale e politica nel movimento fascista. Come ha notato George L. Mosse il nazionalismo italiano è mazziniano, contenente una forte componente umanitaria. E il filosofo Giovanni Gentile riteneva il suo contributo intellettuale in favore del fascismo, la logica mediazione tra la "nuova Italia" auspicata da Mazzini profeta del Risorgimento e la "nuova Italia" realizzata da Mussolini. La convinzione del giovane laureato Balbo è che Mazzini, "apostolo della Nazione", sia stato messo in soffitta dopo l'unificazione, oltreché duramente attaccato e diffamato sia da Marx che da Bakunin. In fondo l'ostilità è logica: in Mazzini si intravvede una vicinanza al socialismo. Ma solo in apparenza, poiché in sostanza egli rappresenta "l'ultimo baluardo contro il socialismo internazionalista in Italia". Per lungo tempo la cultura del fascismo è stata negata, rifiutata, occultata. Il movimento politico era nato con la violenza; con la violenza aveva conquistato il potere e si era consolidato; con la violenza era caduto.

In fondo, l'interpretazione di Benedetto Croce del fascismo quale "parentesi" (invasione degli Hyksos, durata fortunatamente poco più di un ventennio), tendeva a disegnare una netta frattura tra un prima e un dopo, senza alcun legame con il passato. La tesi del giovane Balbo dimostra quanto inesatta sia stata, pur se comprensibile, la lettura crociana. L'Italia liberale aveva chiuso Mazzini in una gabbia di fraintendimenti, depotenziandone l'autentico pensiero. Occorreva risvegliare il suo misticismo, il suo spirito ascetico, la sua visione globale non solo politica ma anche sociale ed economica. Questo compito spettava al fascismo. Che poi la storia sia andata in tutt'altra maniera, lo stesso Balbo lo sperimenterà di persona. All'inizio di ottobre 1938 Mussolini convoca il Gran Consiglio. Balbo è governatore della Libia e deve discutere la svolta razzista, di conseguenza antisemita, voluta dal duce. Lui è contrario.

Manifesta le proprie perplessità, non sufficienti per attenuare i contenuti della Dichiarazione sulla razza. Nella tesi di laurea, in conclusione, aveva definito "meravigliosi" gli insegnamenti di Mazzini: "verbo di giustizia e umanità sublime".

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