Così il Cetena crea le rivoluzioni galleggianti

Così il Cetena crea le rivoluzioni galleggianti

(...) uno di quei mondi che fa sentire un po’ più orgogliosi dell’italianità. Anche e soprattutto perché il Cetena dimostra di come si possa essere di proprietà in gran parte pubblica, visto che la maggior parte delle quote societarie fa capo a Fincantieri, e di come si possa fare ricerca, attività che di solito fa a pugni con gli utili di gestione. Ma restando un’azienda a tutti gli effetti.
Trattandosi di un’azienda del gruppo Fincantieri, guidata da un manager come Giuseppe Bono, abituato a mangiare pane e utili, anche se guida un’azienda pubblica, non c’è troppo da stupirsi. Ed essendo Bono, manager con i controfiocchi e i controqualcosaltro, sufficientemente ben piazzato, è chiaro che gli utili sono abbondanti. Idem per Sandro Scarrone, storico dirigente di Fincantieri, pure lui non propriamente un fuscello, uomo di peso, aziendale e non solo. Ma proprio Scarrone ha il gran merito di aver portato al Cetena una mentalità ancor più da azienda e meno da (rispettabilissimo) centro di ricerca, con la ricerca di clienti anche extra Fincantieri che, oggi, sono quasi il 40 per cento dei clienti totali. Cifra che fa il paio con altre cifre: la ricerca ora occupa il 25-30 per cento delle risorse Cetena, mentre il resto dell’attività è interamente rivolta al mercato.
Insomma, stiamo parlando di un’azienda vera e propria, che Bono e Scarrone stanno facendo volare. E questo è un particolare decisivo per raccontare un’eccellenza un po’ più eccellente delle eccellenze. Ma - fatto salvo il portafoglio, che i due salvaguardano con la stessa attenzione di Giulio Tremonti o di una nonnina che si tiene la borsa in grembo, attentissima anche solo ai rischi di scippi - i risultati nella ricerca arrivano lo stesso: lo dimostra, ad esempio, il laboratorio con il simulatore di navigazione, con la ricostruzione dei vari porti italiani, che è quasi un’ipotetica scuola guida per l’Accademia della Marina Mercantile, ottima intuizione di Alessandro Repetto ed Eugenio Massolo, una delle (non moltissime) cose che funzionano a Genova.
Giovanni Caprino - che è l’ingegnere che è un po’ la memoria storica del Cetena, uno dei simboli del centro studi-azienda, che conta su 69 dipendenti, 58 dei quali laureati - si mette alla guida della nave virtuale e riesce a barcamenarsi fra le banchine da Voltri a Sampierdarena come un pilota di formula 1 in pista. Roba che, se questo straordinario simulatore del Cetena ce l’avesse avuto quel gran galantuomo che è Giovanni Novi per addentrarsi nel Multipurpose, altro che processo: l’avrebbero fatto santo subito. Con la cerimonia di canonizzazione direttamente sulla banchina.
Ma, al di là del simulatore, il Cetena è moltissimo altro: dalle competenze per l’ottimizzazione tecnologica delle navi, alla manovrabilità, all’aerodinamica, ai calcoli di fluodinamica, agli studi su strutture e materiali per le navi militari e da crociera, agli strumenti per limitare vibrazioni e rumore in navigazione, alla termografia e ai dispositivi per la sicurezza in caso di incendio, agli studi di vulnerabilità delle navi, soprattutto nel settore militare, all’ergonomia e all’impatto ambientale, sempre più importante, anche per le nuove certificazioni verdi, ad esempio quelle del Rina, genovesissimo e internazionalissimo. E si potrebbe continuare per pagine.
Ma il meglio deve ancora venire. Perché Scarrone, Caprino e i loro uomini hanno studiato una soluzione rivoluzionaria per la gestione dei rifiuti, che chiuderebbe in un attimo tutte le polemiche su Scarpino e su qualsiasi localizzazione dei termovalorizzatori, annullando anche tutta la sindrome del Nimby (acronimo che, pressappoco, significa «ovunque, ma non nel mio giardino») che paralizza qualsiasi opera pubblica in Italia. Il progetto del Cetena permetterebbe fra l’altro di far arrivare i rifiuti alle piattaforme via mare, per mezzo di chiatte, annullando anche i costi ambientali del conferimento dei rifiuti con camion.

Qualcosa di straordinario e nuovissimo: il sogno sarebbe quello di iniziare a sperimentarlo a Napoli, città che per i rifiuti è quasi un laboratorio a cielo aperto.
Se passa l’idea, straordinaria e nemmeno particolarmente costosa, è una rivoluzione. Ovattata, tranquillissima, nascosta. Nascosta anche dietro l’affascinante receptionist di via Ippolito d’Aste.

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