Così le Fondazioni salgono al potere

Giulio Tremonti ha smentito di voler rifare l’Iri. Ma non è un caso che due settimane fa, in pubblico, abbia citato il modello delle partecipazioni statali e la vecchia Mediobanca come due pilastri di sistema di cui si sente la mancanza. Al loro posto sono cresciute però, in questi ultimi 20 anni, le fondazioni bancarie e proprio in queste settimane è intorno ad esse che si giocano tutte le partite che contano nell’economia e nella finanza: dalla ricapitalizzazione delle banche (in cui stanno per investire almeno 3 miliardi), alla sostenibilità del nostro debito pubblico; dal riassetto della filiera Mediobanca-Generali, alla difesa delle imprese strategiche con la Cassa Depositi e Prestiti, pronta a investire nella Parmalat.
Nel parlare di Iri il ministro del Tesoro rimpiangeva la funzione e non certo il modello «politico-culturale». E a ben guardare è proprio a quelle funzioni che Tremonti si ispira per il rilancio della Cdp, una struttura che prevede l’utilizzo del risparmio postale, garantito dallo Stato, per investire in società pubbliche (ha il 26,4% di Eni e il 29,9% di Terna) o ora private, anche attraverso fondi e private equity. Le fondazioni (un nutrito gruppo) nella Cdp hanno il 30% (il 70% è del Tesoro). Le stesse fondazioni sono i soci di riferimento dei principali gruppi bancari italiani, da Intesa (con il 25%), a Unicredit (13%), a Mps (55%) a Carige (43%) e, direttamente o indirettamente, stanno anche nel capitale della stessa Mediobanca. Per questo oggi le 88 fondazioni ex bancarie che contano un patrimonio complessivo di 50 miliardi, sono più che mai al centro del sistema. E questa centralità deriva soprattutto dal rapporto strettissimo, quasi di «complicità di sistema», che si è instaurato con il ministero del Tesoro e che il recente e interessante libro di Fabio Corsico e Paolo Messa - «Da Frankenstein a principe azzurro. Le fondazioni bancarie tra passato e futuro» (Marsilio editore, 135 pagine) - racconta nell’evoluzione di questi ultimi vent’anni.
Come dei Frankenstein le fondazioni sono state definite da Giuliano Amato che, nel 1990, scrisse la legge che le trasformò negli azionisti destinati a controllare il sistema bancario: un soggetto ibrido, metà pubblico metà privato. Proprio come un’altra figura, quella del Centauro, era stata a sua volta usata da Cuccia per Mediobanca, anch’essa né propriamente pubblica, né propriamente privata. Ma la trasformazione in principi azzurri non è certo stata una passeggiata, come Corsico e Messa ricordano ricostruendo tutti i passaggi legislativi (legge Amato ’90, direttiva Dini ’94), legge Ciampi ’98, riforma Tremonti 2001 e sentenze Corte Costituzionale del 2003). Il punto è che la trasformazione della cassa di risparmio in spa lasciava un ampio margine di ambiguità sulla natura, privata o pubblica, dell’ente stesso.
Su questo punto, nonostante la legge Ciampi prima, e la Corte poi abbiano sancito la «piena autonomia statutaria e gestionale delle fondazioni», ancora di recente il tema dell’influenza della politica nelle banche è stato sollevato. Per esempio dalla Lega nord. Ovvero a Siena dove Mps continua a portarsi dietro, di tanto in tanto, l’etichetta di banca «rossa». E questo perché gli organi delle fondazioni sono nominati anche dagli enti locali, mentre la vigilanza è attribuita al ministero dell’Economia. E l’attività specifica delle fondazioni, vale a dire l’erogazione non profit sul territorio di finanziamenti in ambito sociale, culturale, economico e scientifico, contiene di per se stessa un elevato contenuto politico. Il rischio che la politica metta il naso e le mani nelle fondazioni è dunque sempre evocabile.
Tuttavia la tesi del lavoro di Corsico e Messa è che proprio attraverso il duro scontro di inizio decennio tra governo e fondazioni bancarie per stabilire i confini dell’autonomia di queste ultime, è nato il principe azzurro. Uno scontro che aveva come protagonisti da un lato lo stesso Tremonti, che intendeva sottomettere l’attività degli enti alla Vigilanza e determinarne la governance, dall’altro, personaggi come Giuseppe Guzzetti, presidente Cariplo e Acri, Fabrizio Palenzona, proveniente dalla fondazione Crt, o Paolo Biasi di Cariverona: tutti personaggi che nascono e crescono a pane e politica, per poi diventare i king maker delle moderne fondazioni. Ma è proprio in questo aspro confronto che si è generata la conoscenza reciproca di progetti convergenti, al punto che le fondazioni, una volta sancita la loro natura privata, sono addirittura entrate nella Cdp.

Uno sviluppo che, solo 6-7 anni fa, sarebbe apparso impensabile. Bisognerà ora vedere come si muoveranno gli enti in rapporto alle sfide che hanno davanti. Di certo, da questa fase, nasceranno nuovi equilibri tra finanza e politica destinati a durare a lungo.

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