Politica

Così la Francia ripartirà dal Mediterraneo

Nicolas Sarkozy non ha scelto a caso le acque di Malta per una breve crociera dopo la vittoria. Ha dato il primo segnale di un disegno di politica estera profondamente innovativo, illustrato - anche se ai più è sfuggito - la stessa sera del 6 maggio poiché il discorso che ha tenuto dopo l'annunzio del risultato è stato, nella seconda metà, tutto dedicato alle questioni internazionali.
Occupati a condire le elezioni francesi in salsa italiana, la cosa è sfuggita, ma proponendo la costruzione di una Unione Mediterranea sullo stesso schema dell'unione Europea, che sia un trait d'union tra Europa e Africa, Sarkozy ha anticipato una sterzata alla politica estera francese e ha messo l'Europa di fronte a scelte impegnative.
Anzitutto c'è lo spostamento del baricentro della politica estera francese dal Reno al Mediterraneo, che fa passare in seconda linea - sebbene certi aspetti verranno confermati - l'asse franco-tedesco e sposta complessivamente verso Sud anche quello dell'Unione Europea. Viene così rovesciata una linea che avevano condiviso Giscard, Mitterrand e Chirac. In secondo luogo, la prospettiva di dare vita a una Unione Mediterranea legata all'Unione Europea risolve, in teoria, la questione dell'adesione della Turchia alla Ue e apre a Israele la stessa opportunità. In terzo luogo, un disegno che va dal Marocco alla Turchia, passando per Libia, Egitto, Libano e Siria, oltre a creare una collocazione per il futuro Stato palestinese, sottrae i Paesi arabi di questa fascia al richiamo islamico del Medio Oriente asiatico, la cui gestione viene lasciata sostanzialmente alle iniziative americane e agli alleati locali che vorranno impegnarsi, Arabia Saudita, Irak e Afghanistan.
Agli «amici americani», Sarkozy non solo ha rinnovato la promessa di de Gaulle che la Francia sarà sempre al loro fianco quando ne avranno bisogno, ma ha proposto di mettersi alla guida della battaglia contro il riscaldamento del clima. Non lo ha fatto per accattivarsi gli ecologisti di casa, ma ha implicitamente tracciato un disegno analogo a quello di de Gaulle quando impegnò la Francia a dotarsi di una force de frappe nucleare e intorno ad essa innovò il sistema produttivo del Paese. Il suo obiettivo è di innescare una rivoluzione tecnologica in tutto il sistema industriale francese nella convinzione che i primi Paesi che imboccheranno la strada dell'industria delle tecnologie pulite e rispettose dell'ambiente si troveranno all'avanguardia di ogni forma di progresso e conquisteranno un vantaggio competitivo.
Se la prima parte del discorso del 6 maggio era necessariamente di circostanza, la seconda, tutta dedicata ai temi internazionali, era tutt'altro che improvvisata. Sarebbe un errore considerarla una riproposizione di sciovinismo e peccano di superficialità coloro che interpretano le parole «da questa sera la Francia torna in Europa» come un segnale di acquiescenza di Sarkozy all'euroburocrazia o all'idea di appoggiare un Trattato costituzionale pesante e dettagliato. Tornare in Europa significa, per Sarkozy, risvegliare l'Europa dal doppio ictus della caduta del Muro e conseguente riunificazione della Germania, e degli effetti dell'11 settembre. Perché a quei due eventi l'Europa ha risposto in modo non creativo: con l'allargamento e con la faticosa elaborazione di un Trattato costituzionale, ovvero ripiegandosi su se stessa anche se allargando il perimetro. Ma non sono state risposte di dialogo con il mondo esterno che cambiava rapidamente e radicalmente.
La creazione di una Unione Mediterranea che per l'Unione Europa sia un ponte con l'Africa va al di là della tradizionale politica di accordi preferenziali tra Ue e Paesi nordafricani o dell'Africa a sud del Sahara. È realmente ridare all'Europa un respiro internazionale, è sottrarla al pericolo della sindrome della fortezza che il Trattato costituzionale - bloccato dal «no» francese e olandese - non aveva superato e al quale la sinistra italiana è abbarbicata. Si vedrà in concreto come questo disegno di cui si scorge solo la filigrana verrà trasferito in iniziative diplomatiche.

Esso intanto è una chiara dimostrazione di come la politica estera possa essere concepita diversamente da una semplice appendice della politica interna.
Alessandro Corneli

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