Così Fusco descrisse l'Italia (di oggi) negli anni Sessanta

Trans esibiti come icone, fanatismo verso i cani, premi letterari affollati, canzoncine sceme, ricchi scontenti...

Rispetto ad altri critici del costume a lui contemporanei, come Ennio Flaiano nella letteratura e nel giornalismo, Marcello Marchesi nella scrittura anche pubblicitaria e pop, Dino Risi, Mario Monicelli, Ettore Scola nel cinema, Age & Scarpelli nella sceneggiatura, Gian Carlo Fusco appare oggi, e diciamo pure ingiustamente, più defilato.

Eppure è stato un intellettuale fra i più affascinanti del Novecento italiano. Un vero e proprio personaggio, artista anche nella vita. Un libro ci dà una mano a incontrarlo, e chi non l'avesse mai conosciuto lo può addirittura riconoscere, come se già l'avesse letto in passato, tanto egli ha influenzato molte altre personalità più famose.

Il volume, intitolato come una rubrica che Fusco tenne sul mensile Successo tra il 1959 e il 1963, s'intitola Arpa e cannone (Aragno, collana Ante litteram diretta da Luigi Mascheroni, pagg. 286, euro 30) ed è curato da Dario Biagi che ne ha scritto anche l'introduzione. In queste pagine c'è tutta l'Italia del boom, che fu boom non certo per tutti, e in particolare una Milano che s'inerpicava sulla crescita economica, ciascuno in corsa verso un benessere e uno status sociale dato dall'adesione incondizionata al consumo.

E che appare, neanche tanto incredibilmente, come la caricatura dell'Italia di oggi. Nelle colonne di Fusco, in quel giornale per cui scrivevano anche Italo Calvino, Corrado Alvaro, Giuseppe Berto, Leonida Repaci, Carlo Levi, Mario Soldati, Françoise Sagan, ci sono i semi del nostro presente. Se fra i compiti di un artista c'è quello di anticipare il moto evolutivo (o involutivo) della società, Fusco ci riusciva benissimo. Una sfilza di personaggi e situazioni, i suoi, al limite del grottesco, sicuramente iperboli, eppure oggi perfino superate dalla realtà.

Ci sono i primi travestiti, esibiti nei night club come punte di diamante di elusione morale, di trasgressione parigina; le figlie bambine degli avvocati che urlacchiano in salotto incoraggiate dalla famiglia adorante a diventare cantanti sanremesi. Mike Bongiorno e il medioevo dei telequiz. Lapidi commemorative in onore di domatori di tigri.

È già la società falsificata dello spettacolo, insomma. Che Fusco conosceva bene, lavorando anche come sceneggiatore di cinema, autore teatrale e radiofonico, attore. Un mondo di nuovi idoli, costruzioni di sogni collettivi, come la Anita Ekberg della Dolce vita, che si presenta a una serata di presentazione alla Terrazza Martini di Milano, sfolgorante e plastica come la polena di una nave vichinga, ma i cui tratti del volto a poco a poco si trasfigurano nella maschera di un gerarca nazista.

Ci sono poi fenomeni di costume, intuizioni premonitorie: come il fanatismo verso gli animali da compagnia, in particolare il cane che «non si capisce perché non venga addirittura iscritto nello stato di famiglia» (e infatti ci siamo vicino!). Milioni di poeti di provincia che ingolfano i premi letterari. Le canzoncine sceme (eccole qui!). E poi i salotti «dove un paio di volte alla settimana, si riuniscono borghesi ricchissimi ma illuminati, rigorosamente scontenti di tutto, dalla politica al cinema, dalla religione allo sport, e la conversazione si sofferma sulla letteratura. Scontento generale, naturalmente».

Civetteria, vanità, narcisismo. Tratti comuni nella popolazione, ma soprattutto in quella borghese. Esemplare il pezzo «Cento pittrici», che descrive una mostra tutta al femminile, con le protagoniste avide di elogi e gli uomini trincerati dietro il loro maschilismo. La satira si abbatte soprattutto sui borghesi, sui neoricchi, sui miliardari cafoni, sugli arrampicatori sociali, sui privilegiati arroganti. Molto di rado Fusco sbeffeggia il proletariato, anzi ne certifica la fatica di vivere, e così facendo mostra una compassione profonda: i poveri che vanno ai Mercati generali per aggiudicarsi a miglior prezzo la verdura guasta. Una donna reduce dalla morte di un figlio al quale non aveva fatto in tempo a soddisfare un modesto desiderio. Ex fascisti traditi dalle promesse di un regime buffonesco e dalle sue tragiche conseguenze.

Certi pezzi di Fusco valgono più di interi trattati sociologici. Per esempio quello sull'abolizione della «terza classe» dai treni, con i viaggiatori di terza forzatamente promossi alla seconda. «Dal canto loro, i viaggiatori di seconda sono anch'essi saliti di un gradino e un po' alla volta si sono fatti una faccia da prima. Quanto a quelli che prima andavano in prima, se vogliono mantenere il distacco, possono usufruire di rapidi speciali, frecce ultrarapide, vagoni letto, saloncini, convogli di lusso con belvedere (). Eppure era facile capirlo, che in un paese come il nostro l'unico modo di evitare rivolte e fermenti di piazza era sostituire la lotta di classe con la lotta di classi».

Il paragone con Flaiano in effetti è inevitabile. Scrive Dario Biagi nell'introduzione: «Ma c'è qualcosa che alla fine li distingue: una diversa temperatura umana. Nelle istantanee fuschiane si percepisce, magari suo malgrado, anche quando il moralista sembra determinato ad affondare il coltello, un barlume di compassione o, quantomeno, di tensione empatica nei confronti dei bersagli.

Li denuda e irride, ma sempre con leggerezza e garbo. Mai li crocifigge o lapida».

Una cosa si può dire avessero in comune i due scrittori: il talento nel muoversi tra verità e verosimiglianza, generando la magia dell'autenticità.

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