Dallagosto del 1944 allaprile del 1945 lesercito tedesco lasciò sul campo 2,7 milioni di morti, una media di 300mila al mese. Nello stesso periodo i bombardamenti alleati trasformarono le città di Germania in un cimitero di fuoco. Il raid più noto, a Dresda, nel febbraio del 1945, fece 25mila morti in poche ore. Ma in rapporto alla popolazione quello sul piccolo centro di Pforzheim, nella Foresta Nera, fu ancora peggiore: 17mila persone, e cioè un abitante su quattro, rimasero sotto le bombe. Il bilancio dellultimo anno di guerra segna 500mila vittime civili.
Eppure, nonostante la catastrofe e la carneficina, la Germania fino allultimo non crollò, ciò che rimaneva di una formidabile macchina da guerra continuò a combattere, e la vita proseguì tra inenarrabili sofferenze, seguendo il copione di unimpossibile normalità. Fino allaprile del 1945 gli stipendi dei dipendenti pubblici vennero regolarmente pagati. La Berliner Philharmoniker rispettò il programma dei suoi concerti fino a quattro giorni prima che i russi muovessero allattacco della capitale: a fare da sfondo allultima serata (in programma cera, naturalmente, il Tramonto degli dei di Richard Wagner) fu una Berlino ormai spettrale. Persino il calcio non si fermò. Il 23 aprile, con le truppe tedesche in rotta, si svolse lultimo derby di campionato: il Bayern battè 3 a 2 i rivali del Monaco 1860.
Ma come tutto ciò è potuto accadere? Come è stato possibile che un Paese intero abbia resistito fino allinverosimile, seguendo senza deflettere il percorso di annientamento e di autodistruzione stabilito dal suo leader? Sono queste le domande con cui inizia The End, lultimo libro dello storico britannico Ian Kershaw, pubblicato nei giorni scorsi in Inghilterra. Kershaw è probabilmente il maggior studioso del nazismo. La sua biografia di Hitler in due volumi, pubblicata tra il 1998 e il 2000 (in Italia da Bompiani), è ormai considerata unopera di riferimento. In The End esamina il periodo che va dal fallito attentato del conte Claus von Stauffenberg, per molti versi una cesura nella gestione della guerra e del fronte interno, fino alla fine del conflitto nel maggio del 1945. Lobiettivo dichiarato è spiegare quella che Kershaw definisce una peculiarità storica: lesempio di un Paese e di un regime che, sottoposto a pressioni da giudizio finale, non implode. Un unicum, o quasi, che si contrappone a quanto succede di solito alle strutture autoritarie di fronte alla catastrofe bellica: a quanto avvenne in Russia nel 1917, nella stessa Germania alla fine della prima guerra mondiale o allItalia nel 1943, in cui il sistema si spezzò ben prima del crollo finale. Kershaw passa in rassegna le spiegazioni tradizionali di questa singolarità: gli effetti del terrore nazista, di anni di propaganda ispirati al culto del Superuomo ariano, una classe di ufficiali nutrita al culto delle «fedeltà nibelungica».
Non cè dubbio, per esempio, che il potente apparato repressivo del regime, e la crudeltà con cui fu usato, contribuirono in maniera decisiva a soffocare ogni accenno di ribellione. Basta un dato per rendersene conto: durante la prima guerra mondiale i tribunali dellesercito guglielmino pronunciarono 150 condanne a morte per diserzione (solo 48 vennero eseguite). I condannati alla pena capitale dalle corti naziste furono 30mila. E 20mila furono i soldati giustiziati. Nello stesso periodo i disertori condannati a morte tra le fila americane furono 140, 40 tra i britannici, 103 tra i francesi.
Secondo Kershaw, comunque, tutte le principali spiegazioni tradizionalmente addotte per spiegare la ferrea coesione tedesca rappresentano, certo, «fattori da tenere presente nellequazione finale» ma non colgono la specificità del regime hitleriano. Questultima va cercata grazie alle due chiavi interpretative fondamentali già utilizzate da Kershaw negli altri studi sul nazismo: i concetti di «governo carismatico» e di «lavoro verso il Führer».
La struttura del potere nazista, secondo Kershaw, era basata su un grado di personalizzazione mai raggiunto in altre dittature, cementata comera dal rapporto carismatico di Hitler con il popolo tedesco e con lélite dirigente. Facendo leva su questo carisma Hitler creò un sistema di governo fondato su una frammentazione competitiva dei diversi organi (dai ministeri alle autorità di polizia), ognuno dei quali, in modo autonomo, «lavorava verso il Führer». Nella sua persona lo Stato trovava lunica sintesi unitaria: non esistevano organismi simili al Gran Consiglio del Fascismo e anche le istituzioni formalmente previste erano state via via svuotate di ogni potere (il governo, per esempio, venne convocato per lultima volta nel 1938). Da questo legame dei singoli con il capo e dallassenza di strutture in cui qualsiasi dissenso potesse coagularsi derivò lapparente carattere monolitico del potere hitleriano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.