«Così ho incastrato lo spione dell’Fbi»

A Roma Eric O’Neill, l’avvocato del Bureau che scoprì il doppiogiochista Robert Hanssen

da Roma

Spiare il lato umano di chi fa la spia, magari per campare, o perché il papà era un fior di paranoico, oppure per rispondere al proprio patriottismo, ormai è diventato uno specifico genere Usa. Così, dopo The Departed (firmato Scorsese) e a un’incollatura da The Good Shepherd, il primo della trilogia Cia girato da De Niro e tuttora in programmazione, arriva in Italia Breach - L’infiltrato (dal 18 nelle sale), un thriller teso e intimista di Billy Ray, con un testimonial dell’Fbi in carne e ossa a promuoverlo. Si tratta di Eric O’Neill, giovane avvocato di Washington con i nonni italiani, che, quand’era agente operativo del Bureau, contribuì in modo decisivo all’arresto di Robert Hanssen, pericoloso doppiogiochista ai danni dell’Intelligence statunitense. E considerando che sul veterano corrotto, per ventidue anni informatore dei russi, esistono sei libri, si fa presto a immaginare quanto la sicurezza dell’America sia stata messa a repentaglio (con seri danni ancora top secret) da Hanssen, qui magnificamente interpretato dal premio Oscar Chris Cooper (American beauty, Il ladro di orchidee).
Com’era, davvero, investigare su uno scaltro traditore cinquantasettenne, pronto a vendere al nemico vite, contatti e fondi, l’ha raccontato ieri, alla Casa del Cinema, lo stesso O’Neill, che dopo avere buttato alle ortiche il suo tesserino da sorvegliante speciale dell’Fbi, ora vive più serenamente nel Maryland, insieme alla moglie Juliana, una bella ragazza nata nella disciolta Germania Est e risoluta a non dividere il marito con nessuna operazione speciale. «Hanssen aveva un ego smisurato e io, che sognavo di diventare agente a tutti gli effetti, avvertivo quella supponenza, quand’ero nella stanza con lui. Siccome veniva da una famiglia povera di Chicago e non sapeva come tirare avanti,con i suoi sette figli, cominciò a vendere informazioni riservate», spiega il ventottenne O’Neill, che nel film, ambientato tra Toronto e Washington, è interpretato da un attore molto somigliante. Ryan Philippe, apparso di recente nel film di Eastwood Flags of our fathers, è quasi identico al vero infiltrato, che seppe incastrare il delatore, tenendogli il fiato sul collo.
Capelli corti da bravo ragazzo, viso aperto e parlata decisa, che tradisce una potente ambizione intima, O’Neill racconta com’è nata l’idea di un film, dalla sua storia vera. «M’ero licenziato dall’Fbi e stavo davanti a un birra, parlando con mio fratello, aspirante sceneggiatore di Hollywood, di quanto fosse arduo sorvegliare un tipo come Hanssen. Fu lui a suggerirmi di prestare le mie vicende al grande schermo». Ecco, allora, la sua true story tra i corridoi grigi del Federal Bureau e gli appuntamenti con l’agente speciale Kate (l’interessante Laura Linney), così devota al suo mestiere, da non avere neanche un gatto. Certo, dopo l’11 settembre, l’avvocato Eric si è chiesto se avesse fatto bene a lasciare l’Fbi. «Avevo ventisei anni e dovevo pensare alla mia vita: preferivo passare più tempo con mia moglie. Dopo gli attentati, mi sono depresso. Ma la domanda resta:quanta libertà personale puoi sacrificare, per proteggere la sicurezza mondiale?».

Otturata la falla peggiore nella storia dei Servizi Usa, O’Neill non è stato neppure menzionato dai capi dell’Fbi, mentre Hanssen,arrestato il 18 febbraio 2001 per alto tradimento, ha patteggiato la pena di morte con l’ergastolo.

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