Così le imprese rispettano lavoratori e ambiente

Tra le iniziative maggiormente adottate a favore dei propri dipendenti: la flessibilità degli orari, l’aspettativa e l’assunzione di extracomunitari

Cosa spinge un’impresa ad assumere comportamenti socialmente responsabili? Soprattutto il radicamento sul territorio, il senso di responsabilità che nasce dalla consapevolezza di fare parte di un corpo sociale complesso, rispetto al quale si hanno, oltre che dei diritti (come quello di poter fare impresa), anche dei doveri. Un approccio che ha, come conseguenza, la richiesta di un maggiore coinvolgimento delle associazioni imprenditoriali rispetto a questi problemi. A sostenerlo, la ricerca «La responsabilità sociale delle imprese distrettuali lombarde», recentemente presentata all’Università Cattolica di Milano nel corso di un convegno dedicato all’argomento. L'indagine, condotta tra luglio 2006 e marzo 2007 dall'Osservatorio Operandi sulla responsabilità sociale diretto dall'Altis (Alta scuola impresa e società), ha coinvolto un campione di oltre 800 piccole e medie imprese ed è stata curata, tra gli altri, da Mario Molteni, ordinario di Economia aziendale alla Cattolica e direttore dell'Altis.
Cinque le aree di riferimento intorno alle quali si è sviluppata la ricerca: i rapporti dell'impresa con i dipendenti; quelli con la comunità locale in cui essa opera; la gestione socialmente responsabile delle relazioni con i fornitori; le attività di comunicazione e marketing legate alla Csr (Corporate social responsability) e le iniziative di tutela ambientale attuate oltre gli obblighi di legge. Gli ambiti nei quali la responsabilità sociale risulta più sviluppata sono quelle direttamente legate al radicamento territoriale dell'azienda, quindi i rapporti con il personale, con la comunità e con l'ambiente, avvertiti tutti come soggetti da tutelare e verso i quali assumere comportamenti virtuosi. E così, se il 72,5% delle imprese adotta politiche socialmente responsabili nei confronti del personale, ricorrendo soprattutto alla flessibilità degli orari lavorativi (56%) e alla possibilità di richiedere l'aspettativa (41%), oltre che all'assunzione e all'integrazione (anche sociale) di personale extracomunitario (53%), il 71% del campione mette in atto azioni a favore della comunità, prevalentemente attraverso donazioni (44%) e sponsorizzazioni di eventi sportivi e culturali (37%). Una percentuale altrettanto elevata (72%) si dichiara attenta ai problemi ambientali, intervenendo soprattutto su riciclo degli imballaggi (43%), trattamento e/o smaltimento dei rifiuti (33%), riduzione del rumore (28%) e del consumo di materie prime (26,1%). Restano, comunque, ampi margini di miglioramento, vista la scarsa diffusione di figure come il mobility manager (presente nell'11% delle imprese) e di programmi per lo sviluppo di energia alternativa, adottati solo nel 5% dei casi.
Più deboli, infine, le aree legate alla comunicazione in materia di responsabilità sociale (sviluppate dal 22,8% del campione, con una presenza di bilanci di sostenibilità che interessa meno del 16% delle imprese) e al controllo etico della catena di fornitura, tanto che il 60% delle aziende si accontenta di una generica autocertificazione del fornitore. Ma quali devono essere, per le aziende, gli interlocutori di riferimento in materia di Csr? Sorprendentemente non le istituzioni pubbliche, ma le associazioni di categoria, prime fra tutte quelle imprenditoriali (70,6%) e le Camere di commercio (49%), oltre ai centri di formazione e ricerca.


«L'aspetto problematico che emerge dalle imprese intervistate - dice Mario Molteni - va individuato nella forte richiesta di aiuto per la realizzazione di pratiche sociali, perlopiù inevasa dagli enti distrettuali. Un aiuto che le imprese si attendono più dalle associazioni di categoria e dalle camere di commercio che non dagli enti pubblici».

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