Così l’argenteria (sepolta) racconta l’ultimo assedio

Così l’argenteria (sepolta) racconta l’ultimo assedio

Tre decenni dopo la loro scoperta clandestina e il loro trafugamento, tornano in Italia sedici oggetti raffinatissimi in argento dorato, che costituiscono il più importante ritrovamento di oreficeria della Sicilia ellenistica. Restituiti dal Metropolitan Museum of Art di New York, grazie a un accordo col Ministero per i beni e le attività culturali, vengono ospitati fino al 23 maggio nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo (largo di Villa Peretti 1) nella mostra «Il tesoro di Morgantina. Argenti del III secolo a.C. da New York alla Sicilia passando per Roma».
Il merito di questa restituzione va alle indagini del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, alle ricerche archeologiche condotte da Malcolm Bell III e agli studi specialistici di Pier Giovanni Guzzo, che hanno portato all’identificazione della provenienza degli oggetti dall’antica città siculo-greca di Morgantina.
Al valore effettivo degli argenti, sarà ora possibile aggiungere quello storico, grazie alla loro ricontestualizzazione nel luogo di origine. Come evidenzia il titolo della mostra, si tratta di un vero tesoro, occultato dal proprietario in un momento di pericolo, forse in seguito alla conquista romana di Siracusa del 212 a.C., quando anche Morgantina, che si era ribellata a Roma durante la II guerra punica, venne distrutta e spogliata.
Gli splendidi oggetti sono diversi per cronologia e funzioni. Nove di essi sembrano destinati al banchetto: tra questi due grandi coppe per mescolare il vino con i piedi a forma di maschere teatrali. Una funzione religiosa, invece, può essere attribuita ad alcuni manufatti con dediche votive: in particolare un piccolo altare cilindrico decorato a ghirlande e bucrani (teste di bue) e due contenitori per profumi con il coperchio a rilievo figurato. Vi sono poi due corni che dovevano appartenere a un elmo da parata e uno straordinario medaglione raffigurante Scilla, il mostro marino descritto da Omero nell’Odissea come una donna dalle gambe di tritone terminanti con teste di cani.

Le raffinatissime decorazioni vegetali e figurate di questi preziosi argenti erano ottenute con una lavorazione a sbalzo e cesello, mentre la doratura era dovuta a frammenti di foglia d’oro sovrapposti a uno strato di mercurio. Su alcuni oggetti sono presenti delle iscrizioni in lingua greca, tra cui anche il nome Eupomelos, che potrebbe essere quello del proprietario.
Orario: dalle 9 alle 19,45, chiuso il lunedì

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