Così l’Ater batte cassa a suon di imprecisioni

Marco Morello

Due settimane fa l’Ater ha convocato una conferenza stampa per presentare la sua campagna di risanamento, tutta incentrata sul valore della trasparenza contabile. Era chiaro sin dal nome altisonante del programma, chiamato «Operazione verità». Per far fronte a un totale di uscite previste superiori a 1.250 milioni di euro, che includono il debito pregresso e gli interventi in agenda fino al 2011, sono state scelte tre strade maestre: vendere le case occupate abusivamente o i cui assegnatari hanno superato il reddito massimo di permanenza, aumentare i canoni del 20 per cento e riscuotere le morosità. Proprio su quest’ultimo punto sono sorti i maggiori problemi, perché molte lettere per il recupero dei crediti contenevano grossolane inesattezze e attribuzioni impossibili. A tal proposito ieri c’è stato un incontro chiarificatore tra la presidentessa dell’Associazione inquilini, Anna Maria Addante, e i vertici dell’azienda per l’edilizia residenziale pubblica del Comune di Roma: il presidente, Luca Petrucci, e il direttore generale, Carlo Maltese. Al termine l’Ater ha diffuso un comunicato in cui riconosceva in parte i suoi errori in merito agli alloggi venduti, proponeva una transazione agli abusivi sanati e scaricava l’onere di dimostrare la condizione di non morosità a quanti si ritenevano ingiustamente colpiti dal provvedimento.
Nonostante i segnali di apertura da parte dell’ex Iacp, Anna Maria Addante non è soddisfatta: «Tutto dipende - ci spiega - dall’organizzazione interna dell’ente: hanno ereditato un disastro che si tramanda da generazioni, e ora cercano di fronteggiare le emorragie riscuotendo delle somme che non gli sono dovute». Il vizio che condiziona a monte le richieste, deriva dal fatto che esse non sono legate all’assegnatario dell’immobile, ma vengono abbinate d’ufficio all’alloggio. In questo modo l’ultima persona che in ordine cronologico occupa una casa, si vede ingiustamente accollare anche i debiti degli inquilini precedenti. Ma non è tutto: gli interessi pendenti si moltiplicano, «superano in alcuni casi di gran lunga i limiti fissati dalla legge, e possono essere considerati usurari».
Sulle incongruenze della vicenda sono intervenuti anche Massimo Davenia, vicepresidente del gruppo di An alla Provincia, e Claudio De Francesco, presidente dell’associazione Diritto alla casa: «Molti casi contestati sono inesistenti - si legge in una nota -. Cosa ancor più grave è il fatto che i numeri telefonici messi a disposizione dall’Ater per fornire chiarimenti risultano essere inattivi». Così tantissimi cittadini sono costretti a sopportare ore di fila al caldo per ricevere come unico responso la stessa cantilena: «È tutto rimandato a settembre». Anche qui qualcosa non torna, se si pensa che per 10mila abusivi il tempo concesso dall’ente per saldare la morosità, che varia dai mille ai 40mila euro, è di appena 10 giorni. «Ci chiediamo - commentano Davenia e De Francesco - come risulterebbe possibile per un anziano, un disoccupato, un vedovo, un diversamente abile, riuscire a recuperare tali somme in così breve tempo. Sarebbe inaccettabile provvedere a sfratti di massa, come intimato dalle lettere spedite».

A rischio in totale sarebbero 60mila famiglie.
Non va trascurata infine la situazione di quanti hanno già pagato le fatture erronee che l’Ater si è impegnata a stornare. «C’è da scommetterci - ha commentato Anna Maria Addante - che non saranno mai rimborsate».

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