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Così l’onda di Piazza Tahrir travolge il governo militare

La giunta offre le dimissioni, l’esercito conferma le elezioni ma cerca una via d’uscita. 40 morti FOTO. VIDEO 1 - 2 Basta balle: la primavera fu vero golpe. G. Micalessin

Così l’onda di Piazza Tahrir  travolge il governo militare

Tre giorni di violenze tra forze dell’ordine e manifestanti nella piazza simbolo della rivoluzione che a febbraio ha portato alla caduta del presidente Hosni Mubarak hanno obbligato il governo egiziano a presentare le dimissioni ai generali che guidano il Paese. In serata, la giunta militare stava cercando un accordo sul nome di un nuovo premier prima di accettarle.

La crisi nella leadership e la battaglia nelle strade del Cairo mettono a rischio un voto - lunedì - che dovrebbe marcare un passo storico per il Paese dopo trent’anni di regime totalitario. Ieri, i combattimenti si sono spostati nelle vie attigue alla piazza, che è rimasta sotto il controllo della folla riunita per protesta.
A Tahrir, le ambulanze si fanno largo tra migliaia di persone, evitando i carretti dei venditori di noccioline e tè. Qualcuno lancia fuochi d’artificio, come a una festa, mentre la scia di un lacrimogeno in arrivo da una strada laterale raggiunge la piazza. L’atmosfera è surreale.

La folla scandisce slogan contro il «mushir», il feldmaresciallo Tantawi capo del Consiglio supremo militare che guida il Paese; la folla crea corridoi umani per motorini o gruppi di giovani che continuano a portare via i feriti; i venditori ambulanti offrono bibite, cibo, magliette della rivoluzione, ma anche maschere anti-gas e occhialini da piscina, che indossa la maggior parte dei manifestanti per proteggersi dai gas lacrimogeni, di cui l’aria è impregnata.

A un lato della piazza, un’agenzia di viaggi è diventata un ospedale improvvisato, dove continuano ad arrivare feriti, più di mille. I morti da venerdì sarebbero circa 40. Una fila di giovani blocca il passaggio: a terra sul marciapiede sono stesi i feriti, la maggior parte colpiti da proiettili di gomma o con problemi respiratori per i gas lacrimogeni, spiega Mahmoud Farrag, giovane farmacista.

Si combatte infatti a pochi metri, nella vie attigue a Tahrir, davanti alle porte dell’università americana, lungo una strada poco lontana dal ministero dell'Interno, obiettivo della folla arrabbiata perché simbolo delle brutalità della polizia, che sono andate avanti nonostante la caduta dell'ex regime.

I movimenti politici accusano i generali di usare gli stessi metodi dell’era Mubarak: violenze contro manifestazioni pacifiche, arresti arbitrari, tribunali militari, tortura.
In queste ore, le elezioni del 28 novembre sono a rischio, nonostante la conferma del vice primo ministro egiziano Ali el Selmi.

L’Egitto è retto da una giunta militare che fatica ad arginare una piazza sempre più numerosa che chiede ai soldati di ritirarsi nelle proprie caserme. E quelle forze dell’ordine che dovrebbero proteggere i seggi e garantire lo svolgimento del voto sono impegnate a contenere una nuova rivolta, non soltanto al Cairo. Ci sono scontri anche sulla costa, ad Alessandria; nel Sud, a Qena; a Damanhour e Damietta, nel Delta del Nilo.

La repressione di questi giorni da una parte hanno ricompattato un fronte politico diviso, stufo di promesse non mantenute, in un’unica voce che chiede le dimissioni dei generali. Dall’altra, hanno creato nuove fratture. C’è infatti chi, come i Fratelli musulmani, la forza più organizzata del Paese e favorita alle elezioni, vuole votare lunedì.

Ci sono anche laici e liberali, come Ahmed Bahgat, un consulente commerciale, ieri in piazza in giacca e cravatta dopo l’ufficio, che vuole andare alle urne perché crede che la cancellazione delle elezioni porterebbe maggiore instabilità: «Il Paese esploderebbe, il messaggio che arriverebbe alla piazza sarebbe chiaro: i militari contro cui manifesta vogliono restare», dice. Alcuni gruppi politici giovanili hanno sospeso in queste ore la campagna elettorale, considerando impossibile un voto in un momento come questo, di caos e violenze.

Le divisioni tra le anime politiche della rivoluzione si riflettono sulla piazza. Alcuni gruppi hanno invitato la popolazione a manifestare in massa oggi, contro i generali.

Ma i Fratelli musulmani, che sono scesi in piazza venerdì per lo stesso motivo, ora non chiedono più ai loro sostenitori - arrivati in autobus a piazza Tahrir da tutte i governatorati dell’Egitto - di partecipare a una protesta capace di compromettere un’elezione in cui sono certi di conquistare molti voti.

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