
Non chiamatelo un biopic perché lei detesta le biografie. Lei è Anne Fontaine, regista lussemburghese che ha fatto dell'eclettismo e della versatilità la cifra del suo valore artistico. Coco avant Chanel, Gemma Bovary, Agnus Dei e Two mothers sono alcuni dei suoi titoli più riusciti. Tra storia, dramma e vita. Ora con Bolero - in uscita nelle sale a fine estate - è in concorso alla prima edizione del «Milano film fest», diretto da Claudio Santamaria. Il film è uno splendido e suggestivo spaccato della quindicina d'anni che precedono il secondo conflitto mondiale e racconta, con la delicatezza che è propria della Fontaine, la figura di un compositore del quale si sa decisamente poco.
A interpretarlo è Raphaël Personnaz, ricercato attore francese che ha girato con Ozon Una nuova amica, mentre nei panni di Ida Rubinstein - danzatrice, coreografa e committente di Bolero a Ravel - c'è Jeanne Balibar, già vista nello splendido Illusioni perdute e, prima ancora, in Cold war di Pawlikowski e I miserabili di Ladj Ly.
E qui sta il punto. La mecenate vuole un brano sensuale ed erotico, il compositore ha poco a spartire con i sensi. I battiti accelerati da innamorati o femmine charmant. E resterà deluso.
È consapevole che tutti lo definiranno un biopic e non certo per dispetto, vero...
«Probabile ma errato».
È già così sull'opuscolo del «Milano film fest».
«È la genesi di una creazione. La nascita di un capolavoro in una fase di scarsa vena creativa».
Biopic di «Bolero», non di Ravel, allora.
«Così va meglio. Anche perché raccontare questo musicista così sfuggente è quasi impossibile».
Le fonti sono molto scarse. Dove l'ha portata la sua ricerca?
«Non molto lontano, purtroppo. Esistono biografie che ho letto ma mancano totalmente aneddoti di relazioni sentimentali e racconti personali. Ravel è un uomo senza sfumature».
Ha dovuto sopperire con l'immaginazione, quindi...
«A tratti. Ci sono scene romanzate, cioè inventate dal nulla, ma sono pochissime. Ho lavorato di fantasia ma su una base reale».
In che senso...
«Mi è stato di grande aiuto il suo epistolario. Dalle lettere che ha lasciato mi è stato possibile ricostruire dialoghi e lati importanti del suo carattere. Il senso del pudore, ad esempio, che ho trovato proprio in queste pagine».
La musica l'ha aiutata?
«Decisamente sì e sono state utili soprattutto le molte persone che mi hanno preso per mano facendomi entrare nelle note di Ravel e di Bolero che è il suo capolavoro».
Un giro che si ripete quasi ossessivamente per 17 volte e spinse Ravel a restare deluso dalla chiave erotica che gli diede invece la Rubinstein.
«Il compositore era poco avvezzo all'amore e quel ripetersi erano i suoi fantasmi creativi in quel periodo difficile di scarsa o nulla vena».
E nella scena di chiusura gli si rende omaggio con una versione moderna dove non c'è carnalità.
«Vero ma volevo anche dare un'idea della modernità di quella partitura».
Concetto che peraltro emerge pure in apertura con le differenti interpretazioni di «Bolero» nella cultura musicale contemporanea.
«Esatto. A dimostrazione che è un classico, ormai diventato patrimonio della musica universale».
Ci stupisca. A che cosa sta lavorando adesso.
«Sterzata. Un thriller a sfondo sentimentale tra una donna sicario e il suo datore di lavoro, un ex partigiano che dopo la guerra si è dedicato a mestieri loschi. È ambientato negli anni Settanta, lei uccide industriali e altri scomodi volti spesso riciclati dal passato».
Interpreti...
«Isabelle Huppert e Benoït Poelvoorde, due attori straordinari».
E, nella finzione, si amano.
«Diciamo che hanno avuto trascorsi sentimentali, poi rimasti vivi nel presente ma quello che fanno non lascia posto al cuore e uno dovrà uccidere l'altro... Chi sarà, lo vedrete».
Un film lontanissimo dai suoi temi preferiti e ricorrenti.
«Infatti. Ne ho paura io stessa. È come entrare in territori sconosciuti».