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Così l'ateismo di Saramago è preghiera per gli oppressi

La feroce critica nei confronti delle istituzioni religiose (e politiche) fu il tratto distintivo dello scrittore portoghese

Così l'ateismo di Saramago è preghiera per gli oppressi

Ricorre oggi il centenario di José Saramago, Premio Nobel per la Letteratura 1998, e per l'occasione Feltrinelli ristampa il romanzo d'esordio La vedova e un'edizione dei libri più significativi come Cecità, Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Le intermittenze della morte, insieme a un album biografico con fotografie e inediti dell'autore dal titolo I suoi nomi.

Nel racconto giovanile del 1947 Terra del peccato, finora inedito in Italia, sono latenti i temi del futuro romanzo, dove in un ambiente naturalista di stampo ottocentesco si intrecciano, insieme a storie di vita e segrete passioni di donne e sottoposte, l'amore per la terra, i sentimenti genuini, la condanna del sopruso e l'ingiustizia contro i deboli, e l'attacco a ogni forma di dogma religioso. Qui si annuncia la peculiare scrittura di Saramago, fatta di silenzi, indugi psicologici, pause interiori che coglie nei ritratti dei personaggi l'espressione di occulti pensieri e sentimenti, indagando su ogni remora morale, in una lingua sempre sul punto di cambiare l'iter narrativo per proporre spazi inediti e nuove forme di oralità, dove quel che conta è la dimensione umana, il dubbio esistenziale e non l'evento.

Nelle opere del portoghese, il racconto fin dal titolo diventa trattato, memoriale, esempio di vita sociale; sovente è allegoria, insegnamento offerto nelle forme della parabola. Quest'ultima parola richiama il lessico del mondo religioso, che occorre tenere presente quando Saramago confessa il suo radicale ateismo, sempre esibito. Lo troviamo in Una terra chiamata Alentejo (1980), grande affresco del Portogallo dove Saramago attinge all'oralità e al fantastico per rappresentare e criticare l'economia latifondista che ha segnato la vita di umili contadini, come quella della famiglia Mau-Tempo che ha subìto, nell'arco di quattro generazioni, ogni sorta di prepotenze. È l'epopea commovente di un'intera popolazione, scandita dal ritmo dell'oralità, in cui natura e paesaggio sono fondali scenici alla rappresentazione. Due anni dopo esce Memoriale del convento, la cui storia si svolge nel Portogallo del '700 in occasione della costruzione del monastero di Mafra, voluto da Giovanni V quale ex voto per la nascita del figlio. Il tema religioso torna in Il Vangelo secondo Gesù Cristo (1991), dove l'autore affronta da una posizione dissacratoria la figura di Cristo, espressione dell'autoritarismo esercitato dal Padre nei confronti del Figlio, costretto a prendere le sembianze umane, a soffrire e morire sulla croce.

Critica e fantasia sono gli ingredienti maggiori della prosa di Saramago che privilegia una lingua monologante, aperta a una varietà di timbri e accenti: un distillato corrosivo composto di satira feroce nei confronti del dogma religioso, al punto da diventare un sottotesto spirituale da cui l'autore attinge, convinto che la sua critica sistematica possa rimuovere gli inganni e le falsità espresse dal messaggio evangelico. A tale proposito si è osservato come l'esegesi negativa di Saramago nei confronti della morale religiosa, soprattutto del pensiero cattolico, si eserciti più sul modo di rappresentare Dio che sulla sua vera natura ed essenza spirituale, poiché ciò che veramente interessa allo scrittore è l'uomo, l'uomo libero da ogni credo o supposta fede. L'autore rivendica con forza la condizione laica di ogni essere umano in quanto unico responsabile del proprio destino. Da qui la presenza di una continua interrogazione riassunta nella domanda ossessiva: «Chi siamo noi?».

Il romanzo Cecità (1995) segue di pochi anni il libro su Gesù e racconta l'esplosione di una cecità collettiva dove i personaggi non hanno nome e sono affetti dalla malattia. Ancora una metafora religiosa di ascendenza medievale, dove la menomazione fisica si presenta con il rovesciamento dei suoi effetti, poiché mostra un candore luminoso, un bianco mare latteo che obnubila l'oscurità del mondo esterno e indica che la vera cecità è quella degli uomini obbedienti alle false verità imposte dalle religioni. Il contrasto cromatico (in cui è possibile leggere un significato spirituale) indica infatti l'incapacità di vedere la vera vita che regola il destino umano. Il romanzo predilige la riflessione a tal punto che - confessa l'autore - si sovrappone all'evento narrato, crea una sorta di simbiosi tra storia e saggio, tra realtà e memoriale.

Tutti i nomi, pubblicato nel 1997, colloca il lettore davanti a un emblematico schedario dell'anagrafe a cui provvede un solitario scritturale. Anche qui, nell'immensa e confusa enciclopedia dei nomi, si celano storie vere di persone ignote che l'anonimo impiegato rintraccia e interroga fino a imbattersi in una donna sconosciuta di cui si innamora, sfidando le ferree regole dell'Autorità. Il suo vagabondaggio, con una torcia in mano frugando nel mondo cartaceo dei defunti, rinnova il mito classico del viaggio nell'Ade alla ricerca del tempo e dell'amore perduto. Anche i libri successivi, La caverna (2000) e L'uomo duplicato (2002), sono evidenti allegorie. Nel primo caso, Saramago attinge al mito di Platone, e nel secondo indaga sul significato del doppio, l'alterità, la clonazione e gli enigmi della vita.

Le intermittenze della morte (2005), una delle ultime opere, continua la critica violenta alle grandi istituzioni religiose e politiche che esercitano il controllo sulle sorti e il destino degli uomini. Dal punto di vista stilistico la labirintica prosa, per lo più retta da un io monologante, rivelato dall'uso delle maiuscole, occupa ogni interstizio del discorso, in un fluire di ipotesi e risposte senza tempo che giunge al paradosso di proporre la sospensione della morte, creando una vibrata protesta da parte delle gerarchie della Chiesa che vedono nell'immortalità del corpo una profonda contraddizione alla visione dell'aldilà. È una satira a tratti feroce che investe e confuta le certezze assicurate dalla fede, mentre consolida il dubbio e la necessità di una risposta che può essere solo laica davanti al mistero dell'esistenza umana, la vecchiaia e la morte.

La protesta dello scrittore, ateo militante, guarda anche al campo politico, come accade a proposito delle prime vignette satiriche anti-islamiche apparse su alcune riviste francesi, che l'autore condanna severamente, considerando i loro autori degli irresponsabili che dovevano porsi dei limiti, mentre accetta con disinvoltura analoghi casi di violenza e di satira contro figure e simboli della fede cristiana e protestante. Ugualmente il maestro lusitano entra a piè pari nell'agone della lotta politica italiana con un blog personale, né si astiene dal perorare la causa palestinese, criticando con violenza lo Stato di Israele e l'ebraismo mondiale.

Infine, Le piccole memorie (2007) è il ritorno alla stagione dell'infanzia, dove la scrittura lega il tempo, riempie i vuoti lasciati dalla memoria, indaga sulle forme oscure del potere. L'opera, segnata da un pessimismo amaro che corre sul filo dell'allegoria, evoca il passato e la vita errabonda dell'autore, pastorello di porci accanto alla mitica figura del nonno analfabeta.

Al lettore resta il dubbio se in questo stato primitivo della vita e della conoscenza, lontano dalla religione e dalle norme del potere politico, esista veramente la libertà che comprende anche la fede di credere e sognare, la speranza e la felicità a cui l'uomo sempre aspira.

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