Così Repubblica svela la prova pro-Berlusconi

Niente "pistola fumante": il verbale proposto dal quotidiano come atto decisivo in realtà conferma la tesi del Cav. Le giravolte di Ruby davanti alla corte

Così Repubblica svela  
la prova pro-Berlusconi

Gian Marco Chiocci
Massimo Malpica

La pistola fumante che inchioda definitivamente Silvio Berlusconi c’è o non c’è? Secondo Repubblica c’è. Non solo, è evidente, ed è provata oltre ogni ragionevole dubbio. Eppure secondo la ricostruzione dei fatti di Arcore che proprio il quotidiano di De Benedetti sciorina dopo aver letto i verbali di Ruby, la pistola non solo non fuma, ma è scarica al punto che vien da chiedersi su che basi il gip abbia deciso di puntare l’arma sul presidente del Consiglio rinviandolo a giudizio, con rito immediato, per reati gravissimi come la prostituzione minorile e la concussione. Fermiamoci al primo reato. Se, e ripetiamo se, le carte «decisive» della procura sono tutte quelle pubblicate ieri dal giornale diretto da Ezio Mauro, in un Paese normale il premier dovrebbe dormire sonni tranquilli. In un Paese come questo, invece, soffre d’insonnia. L’incipit dell’inchiesta di Repubblica è tranchant. Si parla di un segreto nascosto nel doppio interrogatorio di Ruby, il 3 agosto scorso: «Sono poche parole, pochi ricordi, risolvono con una determinante testimonianza diretta, le tre questioni decisive dell'affaire. Primo: Silvio Berlusconi ha mai chiesto a Ruby di fare sesso? Due: Berlusconi sapeva che la ragazza, nella primavera 2010, non ha ancora compiuto i 18 anni? Tre: Come nasce - e da chi - la bubbola della nipote di Mubarak?». Ma come, la domanda delle domande non è più se il premier «ha mai fatto sesso» con la minorenne marocchina ma diventa «se ha mai chiesto» a Ruby di fare sesso con lui? Tra il dire e il fare c’è di mezzo il codice penale. Che anche a interpretarlo in modo elastico non prevede il carcere per chi ci prova con una ragazza che crede maggiorenne. Tant’è. Su questo specifico punto Repubblica riporta un passaggio illuminante dell’interrogatorio della giovane nordafricana: «Mi disse (Berlusconi) che la mia vita sarebbe cambiata e anche se non ha mai parlato esplicitamente di rapporti sessuali, non è stato difficile per me capire che mi proponeva di fare sesso con lui». Qui, purtroppo per i pm, non solo scarseggia la prova provata, esplicita, della consumazione di un rapporto sessuale. Ma a proposito delle bellicose intenzioni del premier la ragazza desume, interpreta, ricava la sensazione, implicita, che Silvio avrebbe voluto provarci. Al condizionale. Non dice «ho fatto sesso con lui». Proprio Repubblica, due righe sotto, lo ammette: «È solo (Berlusconi, ndr) nella stanza con la ragazza. Ruby dice di non essere stata toccata. Ruby ricorda solo le promesse di quell'uomo immensamente ricco».
Basterebbe a chiuderla qui. Berlusconi nega di avere fatto sesso con lei, Ruby nega di avere fatto sesso con Berlusconi, né esistono foto, film o prove che cristalizzino l’incontro a luci rosse. Insomma, non c’è l’«evidenza» ravvisata dal gip. Non c’è il riscontro cruciale che giustifichi l’accelerazione processuale. Ci sono, al massimo, discrepanze minime sulle dichiarazioni della ragazza. Comunque insufficienti, a detta della difesa del premier, a supportare una richiesta di rito immediato, figurarsi il rinvio a giudizio. C’è che Ruby ha detto di essere stata tre volte a casa del premier mentre invece la lettura delle celle del suo cellulare riscontrano quindici soggiorni ad Arcore. È la prova del rapporto sessuale? No. C’è che Ruby descrive, in modo colorito, il clima iper eccitato delle feste. È la prova del rapporto sessuale? No. C’è che Ruby parla di soldi e di aver saputo da altre ragazze «che chi stava con Silvio poteva avere la casa gratis». È la prova del rapporto sessuale? No. A proposito delle «case omaggio» nessuno s’è interrogato sul perché Ruby, passata per il letto di Silvio, pur sapendo dell’andazzo dell’Olgettina non s’è fatta regalare un appartamento. E nessuno si è riletto la relazione dell’Anticrimine sulle celle telefoniche (pag.108 dell’invito a comparire) dove si dice che quel giorno di marzo «è localizzata ad Arcore la sola El Mahroug Karima». Se c’era solo lei ad Arcore, come faceva ad apprendere dalle amiche presenti del business sessual-immobiliare? Ma tra il dire e il fare s’intromette l’agire potenziale: «I ricordi di Ruby - scrive Repubblica - sono decisivi per il processo (e anche per un giudizio extraprocessuale, politico). Fin dalla prima volta che l’incontra, dunque, Berlusconi chiede a Ruby sesso, parla di sesso e nient’altro che di sesso. Si dice disponibile a pagare. Molto. Tantissimo». Nelle carte queste chiacchiere sessuali non ci sono. Quanto ai soldi, il premier ne promette talmente tanti che, scopriamo, Ruby si vergogna d’aver mentito a Silvio. Ventiquattro anni invece di diciassette. Egiziana anziché marocchina: «Quando mi propose di intestarmi quella casa (...) non potevo più mentire. Gli dissi la verità, ero minorenne ed ero senza documenti». Da qui in poi le versioni si complicano ulteriormente.

C’è un dato, estrapolato ieri dal Messaggero, che deve far riflettere i più accesi detrattori del premier, quello secondo cui sia la Minetti che Berlusconi seppero della vera età di Ruby solo la sera del fermo in questura, tanto che secondo la brasiliana Michelle che ospitava Ruby il premier quello stesso giorno rimproverò la marocchina «per aver nascosto la sua vera data di nascita». La pistola fa cilecca. Non fuma. Al contrario abbondano le «verità» fumose.

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