Politica

«Così si penalizza la flessibilità senza rilanciare l’economia»

Tomat (Lotto): «Premiare solo il tempo indeterminato vuol dire fare un passo indietro e paralizzare il mondo del lavoro»

Paolo Stefanato

da Milano

«Ci aspettavamo di più. È un piccolo passo. Ma proprio piccolo». Andrea Tomat, industriale della calzatura alla guida di due aziende a marchio forte come Lotto e Stonefly, è appena rientrato dalla missione confindustriale in Cina e trova in Italia la sorpresa della riduzione (annunciata) del cuneo fiscale. È ancora frastornato dall’infinito fermento produttivo cinese (paese dove con i due marchi possiede già un centinaio di negozi), e ripiomba d’improvviso nell’Occidente in affanno, nei faticosi tentativi italiani di rimonta.
Di più?
«Si prospetta di abbattere di cinque punti i costi abnormi del nostro Stato maturo e protettivo. Ma per servire veramente a ridare slancio dovrebbero essere almeno dieci»
Dieci?
«Sì, le aspettative dell’impresa sono di un reale ritorno alla redditività sui mercati internazionali, dove aumenta sì il nostro fatturato, ma con marginalità modeste. Le aziende devono investire, assumersi dei rischi, e devono poter avere le risorse per farlo. E in quest’ottica il benefico deve essere suddiviso diversamente»
Cioè?
«Quel 60-40 tra imprese e lavoratori, che sembra appiattirsi verso un salomonico e indeterminato fifty-fifty, non ci sta bene. Dobbiamo ragionare in termini di 70-30. Anche in questo senso, realisticamente, ci aspettavamo di più. Ma poi l’ottica va estesa oltre i numeri, e lì si vede che questo intervento non regge»
In che senso?
«Le misure annunciate, che premiano i contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a tempo determinato, di fatto penalizzano la flessibilità, che è l’indirizzo verso il quale dobbiamo continuare a muoverci. Se no non abbiamo scampo»
Vuol dire che si stanno facendo passi indietro?
«Lo dico: si stanno facendo passi indietro! Le aziende hanno bisogno di modulare produzione e risorse, di trasferire, di ottimizzare. Rilanciare logiche diverse significa tornare alla cristallizzazione del mercato del lavoro, a un’impostazione rigida e priva di stimoli. E poi c’è un’altra osservazione importante da fare»
Quale?
«Penalizzando, di fatto, i contratti a tempo determinato e le forme di lavoro flessibile (che, detto tra parentesi, sono state un faticoso raggiungimento degli ultimi anni), si va a toccare la struttura dei costi di un settore fondamentale come il turismo, con tutto quello che gli ruota attorno. Qui l’elasticità del mercato del lavoro, che è una componente essenziale delle struttura dei costi, non può venir meno»
Che rischi intravede?
«Di penalizzare ciò che a parole si vuole favorire»
Il mercato del lavoro tuttavia risente di un’impostazione sociale alla quale non si può venir meno...
«Certamente, e nessuno dice questo. Ma se estendiamo il discorso, restando però sul tema, me lo lasci dire: trovo che le inefficienze della pubblica amministrazione siano qualcosa di vergognoso. E un elemento di costi malsani per le aziende. Bisogna liberarsi degli statali fannulloni, o farli lavorare sul serio.

Senza istinti punitivi: basta il semplice atteggiamento del buon padre di famiglia, il quale pretende che il figlio faccia il proprio dovere».

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