La Costituzione, all'articolo 32, dice e si contraddice: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo
», esordisce riconoscendo un diritto, non un dovere; ma poi prosegue con «
e interesse della collettività»: allora, se la collettività decide che è suo interesse mantenere in vita a tutti i costi i cittadini, la cura della salute diventa un dovere?
Ancora più l'un contro l'altro armati sono i due paragrafi seguenti: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge». E però: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Già, e quali sono questi limiti? L'accanimento terapeutico non rispetta l'individuo che non lo gradisce, ma viene praticato lo stesso.
Visto che la nostra Carta fondamentale lascia aperte molte porte, è una sentenza di buon senso e di giustizia quella del tribunale di Varese, che ha rispettato la volontà di una signora di farsi curare, sì, ma solo a casa propria, rinunciando ai maggiori vantaggi terapeutici che potrebbe avere in una struttura ospedaliera. Come ha scritto il giudice nella motivazione, «Il nuovo trend giurisprudenziale sconfessa, in via definitiva, la concezione paternalistica della scienza poiché vengono ad essere rivisitate le fondamenta su cui poggiava il rapporto tra medico e paziente. La persona, e non più la vita, diventa il perno attorno a cui ruota la medicina».
Cioè, l'individuo, la sua volontà e la sua libertà di disporre della propria esistenza vengono riconosciuti più importanti della sua stessa vita.
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